ZONA COMODA
A volte le parole fanno la differenza. A volte persino il suono delle parole fa la differenza. Come percepireste ad esempio se la comfort zone si traducesse in italiano con zona comoda, invece che con zona confort? …zona confort fa pensare ad una zona di intrattenimento molto chic in fondo; un bel divano, tante piante, mentre la zona comoda fa pensare più probabilmente ad un unico grande divano molto comodo si, ma meno cool e piú sgangherato, di quelli molto usati che hanno preso la forma del vostro corpo. Per quanto possa sembrare che la traduzione di confort sia uguale, credo che involontariamente la versione italiana edulcori il concetto e distolga dal vero problema, quanto dalla pericolosità della “comodità”. La parola comodità sicuramente vi sta già risuonando come meno digeribile; vi piace meno pensare che non abdicate alla libertà per qualcosa di grande o almeno confortevole, quanto per qualcosa che in fondo vi fa semplicemente comodo; probabilmente non vi piace pensare a tutte le parole che si associano a comodità come pigrizia, indolenza, eccessiva sicurezza, controllo, irresponsabilità, rassegnazione, abitudini maladattive. Se a volte vi è capitato di essere considerati e definiti come una persona scomoda, la sensazione sarà stata quella di non esser apprezzati, quando potrebbe invece anche voler dire che siete una persona fuori schema. La parola scomoda assume un significato spiacevole, quanto comoda assume un senso di prevedibilità e rassicurazione.
Ponendo perciò un focus diverso alla parola, se d’ora in poi decidessimo di chiamarla la zona comoda invece della zona confort, forse creerebbe maggiore consapevolezza e attenzione a tutte quelle volte in cui vi indugiamo dentro o procrastiniamo prima di fare qualcosa che sappiamo utile alla nostra vita.
Ancora e se a vantaggio secondario della malattia ( termine introdotto da Freud per cui si intendono i benefici derivanti dal problema che portano a qualcosa di positivo o a forme di condiscendenza da parte degli altri) usassimo il termine comodità secondarie della malattia, il significato non sarebbe forse più chiaro ed immediato?
E’ triste ma alquanto reale, pensare che il benessere comporta indolenza psicologica e che l’indolenza psicologica provoca un blocco all’apprendimento, come al cambiamento anche quando questo ci migliora. Se le sfide come l’acquisizione di nuove competenze sono percepite come uno sradicamento dalle abitudini precedenti, il rischio è che ci blocchino quando dobbiamo immagazzinare nuove abilità. Se abbiamo la possibilità di andare in una casa più grande e più bella, in un quartiere migliore, quello che proveremo all’inizio è un senso di titubanza, spaesamento o sradicamento, quasi come se una parte di noi volesse rimaner aggrappata a qualche parete della precedente. In effetti è così perchè sono parti di identità che andiamo a modificare. Proviamo la stessa sensazione anche quando partiamo per le vacanze, un sottile senso di piccolo dispiacere all’idea di abbandonare per un pò, abitudini e ….comodità.
Perchè alla fine ci abituiamo a qualsiasi cambiamento rendendolo ordinario e familiare. Tutto ciò che viene ripetuto crea in noi una sorta di ritualità, di esperienza riconosciuta. Ci suona familiare e immediatamente scatta la refrattarietà a pensare a qualcosa di nuovo.
Forse dovremmo fare i conti con quante cose nella nostra vita hanno lo scopo di creare comodità, intesa come staticità rispetto lo stato attuale. A volte lo definiamo “quieto vivere”, senza riconoscere che non ci piace faticare anche se il fine è il miglioramento. Tutto ciò che è affine al cambiamento viene sentito inizialmente come destabilizzante, cosa che magari lo è anche: meno ci abituiamo a cambiare qualcosa di noi o intorno a noi, più la nostra personalità intesa come insieme di abitudini, con il tempo si struttura e ci rende timorosi di rivedere le nostre convinzioni; convinzioni spesso create proprio per darci un alibi secondo il quale quello che abbiamo ci piace e il nuovo..chissà!!!! Così più che una confort zone cadiamo in un comfortably numb per dirla come il testo di una canzone dei Pink Floyd che …forse non a caso descrive uno stato di ottundimento e annebbiamento mentale, una perdita di sensibilità piacevole, che si avvicina a quello che proviamo quando ci tuffiamo nella comodità fino a sparirci dentro, accontentandoci di sentirci storditi, intorpiditi e meno consapevoli ..semplicemente perchè lo stare dentro il noto ci fa sembrare che fuori non accade, nè può accadere, niente di ipoteticamente perturbabile…
Tutti noi occupiamo qualche centimetro, qualche metro, a volte anche chilometro della zona comoda..
Quali sono le comodità in cui indugiate e che immancabilmente e periodicamente vi promettete di cambiare? Quali sono le comodità secondarie dei vostri disagi a cui restate aggrappati?
Rebecca Montagnino
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