Tra piacere e realtà…
Se c’è una parte della teoria freudiana che mi piace molto e che trovo sempre attuale, è quella che riguarda il principio di piacere e di realtà. Nella sua opera “Al di là del principio del piacere” Freud elencava i due due principi che, insieme a quello di costanza (il principio che tende a stabilizzare le tensioni nell’organismo), regolano la vita della persona, il primo quella del bambino, quella dell’adulto il secondo.
Nel bambino la vita è dominata dal puro istinto, in cui l’unico scopo è di ricercare la soddisfazione del suo piacere. Si nutre, espelle, dorme. Piange quando ha fame, quando ha bisogno di consolazione e questo comportamento è necessario a ricevere le cure per la sua sopravvivenza. Vive quindi solo per i suoi desideri e si aspetta che vengano esauditi subito com’è giusto che sia dal mondo esterno: la sua ricerca è finalizzata quindi verso il piacere, evitando il dolore o la frustrazione. L’adattamento postumo a questo stadio prevede invece che la soddisfazione venga sublimata o spostata nel tempo, avendo interiorizzato quella parte del lato affettivo per cui chi gli è accanto non può sempre correre da lui o avendo stabilito lui stesso una capacità di spostare nel tempo tale bisogno.
Chiaramente esistono pulsioni di piacere anche nella vita adulta e sono importanti perchè se danno origine e governano l’Es, rimangono anche in seguito sotto forma di istanze inconsce, non logiche, astratte. A dominare lo stadio successivo infatti sarà l‘Io, che media tra le pulsioni dell’Es e il mondo esterno. Queste due istanze non sono opposte o antitetiche, ma servono ad equilibrarsi vicendevolmente.
Ora veniamo al perchè considero questa parte della teoria così importante. L’educazione odierna preme molto sulla soddisfazione del piacere sempre e immediatamente anche per periodi molto più lunghi di quelli fisiologicamente necessari; il bambino in tal modo cresce aspettandosi che questo sia normale, dovuto e che accadrà con chiunque e sempre. Ha difficoltà a spostare la soddisfazione del suo piacere, quanta ne ha a capire che esiste l’altro con i suoi bisogni e desideri. Tollera in tal modo poco ogni piccola frustrazione e vive ogni variazione d’intensità delle richieste esterne come una sofferenza. Invece di insegnarli ad accogliere la sofferenza come parte della vita afinchè possa imparare ad affrontarla, si tende piuttosto ad allontanarla, trovando scappatoie mentali o reali per poter farlo restare nel suo limbo protetto.
Il piacere è un lato fondamentale della vita e per la sopravvivenza dell’essere umano, ma ne è un lato e per questo ha la sua importanza. Assaporiamo il piacere nelle sue diverse forme e lo cerchiamo spesso proprio per gratificarci della realtà che implica che ciò che vogliamo debba essere posticipato, spostato o debba tener conto degli altri. Imparare che c’è l’Altro infatti implica distaccare il bambino progressivamente dalla sua fase egocentrica e narcisista, insegnandogli così le prime basi del rispetto e altri modi di vedere le cose. La realtà in fondo è fatta anche di frustrazione, di sacrificio e di dolore come della capacità di tollerare tutto questo.
A tal scopo il ruolo degli educatori che siano genitori o professionisti, è quello di non cedere difronte al proprio bisogno di -far piacere o non creare dispiacere-, quanto quello di aiutare a sviluppare la personalità anche ponendo ostacoli e rifiuti. Se tali figure non sanno mantenere questa distanza, il bambino non smette di liberarsi dalla sua visione egocentrata del mondo e non sa percepire il mondo diversamente dal suo punto di vista.
La realtà crescendo resta pertanto un enigma o un apparato della propria persona, svuotandola da ogni contenuto che non parta da una prospettiva personale e soggettiva. Più lo stato del piacere si prolunga più gli effetti dell’edonismo e di chiusura si fanno sentire, rischiando di creare disagi seri per liberarsene. Sappiamo cosa sia la sindrome di Peter Pan e assistiamo con preoccupazione alla difficoltà di stabilire impegno e responsabilità in ogni campo di questa società.
Se guardiamo da vicino come vive la popolazione occidentale oggi, il mancato bilanciamento di questi due stadi appare evidente, quanto le conseguenze che la ricerca spasmodica del proprio piacere personale crea attraverso uno stile di vita individualistico. Il piacere inteso in tutte le sue forme, che vanno dall’egocentrismo, all’uso di sostanze o esperienze altamente adrenaliniche e a tutti i tipi di dipendenza, alla ricerca eccessiva di comodità e sicurezza, all’uso dei social come anestetizzanti dal dovere, alla difficoltà di darsi regole, fino allo sviluppo del narcisismo, in effetti è il fine dominante per molti. Uno stato adolescenziale senza termine, dove la realtà e l’Altro sono due ignoti spesso incomprensibili, il cui significato stenta a delinearsi, dove tutto ciò che non è come voglio è fonte di stress e disagio. Dove ancora il piacere personale viene confuso con la libertà, come avremo modo di approfondire con un link che posterò prossimamente.
Per questo il concetto di realtà, inteso come “Altro, dopo, contenimento, diverso da me, Rispetto per l’altro” dovrebbe essere introdotto un pò alla volta nella vita del bambino, renderebbe persino la stessa ricerca e la soddisfazione del piacere qualcosa di molto più unico e prezioso.
Rebecca Montagnino
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