TANTE SCOMODE VERITA’: LA SCUOLA CATTOLICA.
Non mi è facile parlare di questo film per tante ragioni, ma quando sono uscita dal cinema ho sentito l’urgenza di farlo. Non per solo per dovere professionale, per capire meglio i processi di chi compie il male, ma per la forza del coinvolgimento che avevo avuto. Mi ci è voluto qualche giorno per iniziare a scriverne, per distaccarmene il necessario e contenere il tumulto di emozioni suscitato.
LA SCUOLA CATTOLICA Il film di Stefano Mordini è tratto dal libro di E.Albinati, in cui in 1200 pagine si condensano le dinamiche di chi visse intorno al tristemente “famoso” massacro del Circeo. Sebbene fossi piccola all’epoca degli avvenimenti narrati, ricordo bene il senso di tragedia e le paure che ne nacquero dopo. Lasciò un segno, una lesione alla libertà collettiva, alla spensieratezza di quegli anni: la presa di coscienza che la libertà poteva anche diventare pericolosa. Quella libertà che come si afferma nel film, arrivò tutta assieme e troppo velocemente. Una delle conseguenze che trasmise alle nuove generazioni era il monito: quello che era accaduto a loro, poteva capitare a chiunque.
Sentivo doveroso vedere questo film: capire meglio quei fatti come persona e come psicologa , capire la mente di chi compie un massacro senza sentirsene minimamente colpevole. In fondo per me si trattava solo di osservare fatti accaduti, per tante donne significa ancora vivere quelle esperienze. Sapevo bene che non sarebbe stato un semplice documentarmi, ma immergermici, restarci dentro, dopo, il giorno dopo e quello dopo ancora. Come una voce che ogni tanto anche a distanza dell’attimo in cui ti ha colpito, resta a riportarti quelle scene, a chiederti cosa avessero potuto sopportare le protagoniste di quella vicenda orrenda. A ricordare che quel 1975 non è mai finito (nè era iniziato li) e che il sentore e timore della violenza per una donna, forse è un vissuto che non l’abbandona mai.
ASSISTERE ALLA VIOLENZA Del delitto del Circeo stanno parlando e straparlando in molti questi giorni e per quanto di scene di violenza sessuale sulle donne (che appuriamo nei titoli di coda, nel nostro paese è divenuto una condanna alla persona e non più alla morale solo nel 1996!!!!), ne abbiamo viste molte, questo film è stato censurato ai minori di 18 anni nel giro di un giorno. Assistiamo anche troppo a scene violente, nei film, telefilm, su Youtube, tanto da venirne desensibilizzati talvolta, tanto da non capire e distinguere, che certe forme di sessualità “aggressiva” andrebbero considerate con più attenzione.
Ci sono degli elementi che colpiscono in modo particolarmente violento in questa pellicola. L’età delle ragazze, la loro voglia di vivere in un mondo appena scoperto, di cui non conosceranno nulla; l’idea di quante oggi possano correre rischi simili, anche a seguito dell’avvento dei social.
Sin dall’inizio siamo torchiati da un senso di disagio diffuso, immobili e impotenti, con l’empatia che si genera perchè co-stretti e guidati lentamente in tutto il film, a vivere emotivamente quelle vicende.
Ma ciò che colpisce probabilmente più di tutto, è l’efferatezza con cui vengono stuprate, torturate, uccise, quanto annienta la totale assenza di senso di colpa e il rimorso dei ragazzi che lo fanno.
LA BANALITA’ DEL MALE.
Ma “La Scuola cattolica” ( se si chiamerà così ci sarà un motivo), parla anche di altro. E’ una ottima ricostruzione di quell’epoca, sapientemente ricostruita nelle scenografie e nei dettagli che aiutano a scendere meglio in quelle situazioni.
E’ un insieme di pugni in pancia dall’inizio in fondo fino alla fine, seppur con diverse misure, per diversi motivi. Nessuno ne esce pulito, il disgusto si espande in e su chiunque, sulle condotte dei figli, su quelle dei genitori permissivi che con il denaro comprano l’indennità dei figli, creando quel senso di delirante onnipotenza figlio dell’impunibilità.
Viene insegnato loro a farla franca, ad essere furbi, manipolatori, non solo attraverso il denaro, ma anche nascosti dalla morale cattolica falsamente buonista ( morale nel film in realtà debole e vile che cela dietro il perdono la fuga dalle responsabilità). Viltà che Dante condannerebbe nel terzo girone dell’Inferno, in quello degli ignavi, rei di essersi voltati dall’altra parte invece di agire. E come i carnefici li pone sempre all’Inferno, secondo lui. .perchè è anche che si asseconda il male, contribuendo silentemente al suo propagarsi. Così è la legge del branco in fondo! Mi viene in mente a tal proposito l’effetto lucifero, esperimento e libro del professor Zimbardo; seconda la sua ricerca e teoria sugli effetti del coinvolgimento del male, egli evince le conseguenze che poche mele marcie nel cesto fanno spesso marcire l’intero cesto. La forza del branco prevale cioè sul buonsenso individuale.
https://ildizionariodipsicologia.net/effetto-lucifero/
Questo è il prologo del film, nella scena in cui il “gruppo”/branco si scaglia su un ragazzo disabile, sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno agisca, dove un padre compra l’assoluzione del figlio facendo una donazione alla scuola. Il figlio è reo semmai, della brutta figura fatta fare alla famiglia. Il perbenismo, l’ipocrisia sono quindi già parte della tragedia: rendono malato lo stile educativo, sovvertono il senso dei valori dei figli e annullano il significato della responsabilità.
LA CONDANNA ALLA SOCIETA’. Nel film la voce narrante dice : ” Non so quando era successo, eppure riguardava tutti noi, la nostra scuola, la nostra educazione, il nostro quartiere” E’ una condanna alla società opulenta, a quel periodo di false ideologie dietro cui si nascondeva il piacere, o meglio l’esaltazione per la violenza, fenomeno molto discusso ancora oggi. E’ una condanna all’ipocrisia che ostenta benessere e occulta malsanità/ malvagità psicologica e sociale ( in molti il massacro del Circeo non a caso ha ricordato come dinamica, la vacuità e la crudeltà del più recente omicidio Varani).
“Bisognava provare continuamente di essere bravi uomini e una volta dimostrato, ricominciare da zero”, afferma ancora la voce narrante.
Per quanto tali orrori non sono propri solo delle classi abbienti; la violenza sappiamo da sempre corre in qualsiasi strato sociale, con la differenza che laddove i redditi sono più alti, rendono più facile lo scappar via dalle proprie azioni. Senza conseguenze, pulendo tutto, legalmente, psicologicamente, eventuali rimorsi o sensi di colpa. La violenza diventa in questo puramente banale; agita come un gioco, un videogame, un semplice modo per uscire dalla noia.
“PER CONOSCERE IL MALE CI SARà QUALCUNO CHE LO DEVE COMMETTERE “- E’ un tema dibattuto nel film e sappiamo quanto possa essere pericoloso. Mi ricordano altri film, come –L’onda o –Il nastro bianco, dove ragazzi giovani si lasciano lentamente plasmare dall’aggressività senza provare più nulla difronte ad essa, abbassando, come Guidi che torna a cena dalla famiglia dopo aver lasciato le vittime nella villa, ogni barlume di coscienza.
La violenza gratuita di oggi ci racconta che ci si annoia quando si ha tutto, senza aver conquistato nulla e quando non c’è nulla che tocca profondamente. In queste condizioni le condotte antisociali e violente diventano una tentazione più allettante e facile da agire. Diviene pura e semplice adrenalina che allontana dal piattume.
Mentre sfogliamo le immagini del film, tornano le pagine della Arendt, nel suo libro “La banalità del male” in cui racconta sapientemente la superficialità di chi uccide senza pensare, senza un movente, per puro passatempo, per puro piacere di veder morire lentamente la sua vittima, osservandone la sua sofferenza. Come in fondo la metafora dello scarafaggio nel film
IDENTITTA’ VIOLATE E RINNEGATE.
Se da un lato il film è scioccante, dall’altro visto la gravità e frequenza dei femminicidi, informare e sensibilizzare è un modo per prevenire simili tragedie.
Potrebbe aiutare a vedere oltre perciò, verso quell’ingenuità con cui talvolta si corrono dei rischi, o semplicemente si dona sè stessi senza voler sapere e conoscere il dopo, senza prendere atto che si ha un corpo e una sensibilità ( e una vita) da proteggere.
Forse quest’aspetto in un’epoca in cui il sesso è sdoganato quasi totalmente dal suo significato, dalla tenerezza e di cui resta a volte solo la sfida, la competizione, la dimostrazione del proprio valore estetico o personale o virile, ci scuote ancora di più. Non ci piace pensare a questi aspetti, assumerci la responsabilità di realizzare che il sesso e la promiscuità da quegli anni non è solo peggiorato, si è abbrutito nel nulla..
Sappiamo che troppo Youporn uccide non solo il sesso legato al sentimento, ma crea una serie di situazioni limite che finiscono per diventare l’unico veicolo di eccitazione (Il maschio in difficoltà, P. Zimbardo 2017) e uno sfogo delle pulsioni, un gioco sul bilico della pericolosità.
Accettare questo stato di cose è pericoloso, accettare che certe pratiche violente vadano di moda, come sottomissioni o finti strangolamenti, promiscuità, stati di ebbrezza che fanno perdere lucidità e controllo, così necessari invece a proteggersi.
Per quanto sia sacrosanto e vero che tutti dovremmo poter esser liberi, non minacciati, vero è ancor di più che queste situazioni esistono, che a volte finiscono male. Se il film servisse perciò come testimonianza, come riflessione, scuotimento e sensibilizzazione, ben venga.
Se la censura ai 18 anni sia necessaria poi, non so, sarebbe necessaria allora anche tanta censura su video e serie in streaming in cui la violenza è normalità…se vogliamo proteggere da quelle immagini i ragazzi, forse dovremo proteggerli da tanto altro che è divenuto per loro realtà, quotidianeità.
Partire dall’insegnare loro che la furbizia non è un valore, che la violenza va abolita sempre, mentre lo sono la sensibilità e la Considerazione dell’altro; che la sessualità è libera quando e solo è consapevole, quando e solo, è accompagnata dal rispetto e non dal sopruso. Che non c’è niente e nessuno, per cui valga la pena sottostare, mettersi in pericolo. Imparare a vivere più coscientemente delle conseguenze delle nostre azioni, essere più vigili, capire e prevenire quei segni di squilibrio, che come nel film, forse non sono poi così tanto invisibili.
Rebecca Montagnino
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