SE IL PERFEZIONISMO INGENERA INSICUREZZA…
Intanto, chi è un perfezionista? Colui che non sa smettere di pensare ad un errore commesso, un soggetto fortemente competitivo, esigente lo stesso perfezionismo anche da chi lo circonda. Non chiede mai aiuto se la richiesta gli sembra una debolezza, genera aspettative molte alte negli altri e non finisce ciò che sta facendo, finchè non lo ritiene perfetto. Detto così il perfezionismo non ha nulla di patologico, probabilmente è la base per creare un’opera d’arte; definisce un modo di agire produttivo, determinato, meticoloso, appassionato e difatto molti compositori o grandi letterati come Proust o Bach presentavano questi tratti.
QUANDO DIVENTA QUINDI PATOLOGICO?
Ovviamente non parleremo della semplice qualità che fa essere più attenti, creativi, organizzativi o diretti allo scopo, questa è la parte sana della medaglia. Analizzeremo quando il perfezionismo scade nel patologico. A tale proposito vengono in genere distinti tre tipi di perfezionisti; quelli che lo sono con sè stessi, quelli che lo sono con gli altri, quelli che lo sono a livello sociale.
Partiamo dal primo tipo riprendendo la definizione di perfezionismo iniziale: molto spesso le ambizioni personali di questi soggetti sono altissime e gli obiettivi posti eccessivamente elevati per poter essere raggiunti. Come se il principio di realtà non fosse importante, i perfezionisti innescano aspettative, che per la loro immensa grandiosità, vengono poi disilluse o provocano comunque stress e un senso di frustrazione costante. Ogni errore viene letto come un fallimento individuale, accompagnato poi da un senso di vergogna e di sconfitta profonda. Il soggetto teme che commettendo un errore perderà il valore ai suoi occhi e simultaneamente la stima altrui; per lui diventa fonte di stress arrivare “secondo” in qualsiasi sfida della vita. Di frequente il perfezionismo si sposta anche sul campo fisico; mal tollerano questi soggetti di essere trovati in situazioni in cui non si sentono impeccabili ( a posto), ovvero non criticabili/attaccabili. Sviluppano pertanto un’ossessione per la forma fisica, l’immagine e tutto ciò che riguarda l’estetica.
Tutta questa situazione alla lunga finisce con l’attivare un senso di insicurezza e un’ indecisionalità sulle proprie azioni e scelte, generando a sua volta un senso di insoddisfazione e un abbassamento dell’autostima. Il soggetto per sentirsi valido deve sentirsi perfetto. E’ la difficoltà degli obiettivi che si pone, una volta disillusi, che lo porta ad un crollo e ad una sfiducia verso se stesso. Questo stato di disapprovazione personale può essere così forte da portare a stati ansiogeni nonchè ad un ‘imobilizzazione emotiva simile alla depressione. La persona se ritiene di non raggiungere la perfezione, non si muove proprio e questa paralisi nel tempo diviene fonte di insicurezza.
Chiaramente un altro tratto che ne consegue è l’incapacità di lasciarsi andare, non a caso il problema sfocia spesso in casi di disturbo ossessivo compulsivo.
DA DOVE ORIGINA
Nell’educazione dei perfezionisti troviamo spesso un modello genitoriale esigente; i genitori vogliono che i loro figli riescano, investono su di loro in modo così profondo da richiedere ai figli un ruolo appunto..perfetto. La stessa famiglia ha delle basi perfezionistiche e il figlio sente che per esser degno della loro approvazione, non può commettere errori. Viene ammirato dal momento in cui la famiglia vede il riflesso delle proprie qualità, in modo narcisistico, senza però tener conto dei suoi bisogni più intimi. Ricordiamo inoltre come la spinta sociale o meglio la pressione sociale sia molto alta e già dalla scuola veniamo apprezzati per i risultati che otteniamo; tutto deve essere performativo ( non a caso le convinzioni basiche del perfezionista sono: devo riuscire in tutto, non è mai abbastanza). In questo caso il perfezionismo si ama in maniera narcisistica, cercando di continuo come ha fatto finora nella famiglia, l’approvazione altrui. Questa tendenza porta ad un certo conformismo e ad un blocco dell’espressione del sè. Ancora ci sono situazioni in cui i figli comprendono le difficoltà famigliari e non volendo pesare con ulteriori problemi, tendono ad impersonare il ruolo del figlio che ri-compensa di felicità i genitori. Questo lusinga il figlio e la famiglia, ma il prezzo viene pagato più tardi, quando questo si accorge di aver omesso di sviluppare la propria personalità e i propri bisogni. I genitori in altre situazioni possono essere ansiosi e trasmettere al figlio il bisogno di avere il controllo su tutto, eliminando il più possibile l’imprevisto. .
Questi pazienti tendono perciò a rimurginare anche in modo incessante su cose apparentemente poco importanti, minando così la loro fiducia, preoccupandosi dei dettagli in modo nevrotico e riflettendo sulla giustezza o meno del loro comportamento. La perfezione diventa allora una maschera con cui coprono la tremenda paura di esser colti nella loro vulnerabilità, non a caso spesso sono presenti sintomi di ipocondria, una paura di essere considerati poco o esser visti come infantili. I soggetti di conseguenza dono ipersensibili alle critiche o a quelle che vivono come tali. Possono perciò esasperare chi sta loro accanto, è difficile vederli felici, o divertirsi. Il loro rimurginare in modo ossessivo li fa agire con scrupolosità esagerata, poco spontanea o si sottopongono a esami costanti per capire se hanno tralasciato qualcosa o se hanno agito al meglio.
Tali pensieri a cui sono stati abituati sovente dal loro modello famigliare, genera una tendenza verso l’ ipermaturità. Per questo diventano rigidi e sperimentano compulsioni, entrambi gestite da un militaresco “supervisore interno”. E’ come se non potessero mai concedersi di abbassare la guardia, favorendo quindi la dipendenza a discapito dell’autonomia, la razionalizzazione estrema a discapito del’emotività. Il controllo estenuante li sfiacca, l’eccessiva rigidità rende le loro relazioni affettive difficili, mentre nel lavoro eccellono ( con il rischio maggiore di diventare work alcoholic)
I perfezionisti ignorano di avere un problema in quanto sguazzano nel loro controllo performativo, solo l’insorgenza di sintomi ansiosi -depressivi possono essere il primo segnale per una presa di coscienza. Tali sintomi protratti possono in seguito portare a sviluppare disturbi ossessivi, intercedere con l’immagine corporea provocando disturbi alimentari. Chiaramente questi sono i casi in cui la patologizzazione è più alta.
Solo dando la giusta priorità e smorzando il bisogno di perfezione gradualmente, si giunge a ritrovare l’autenticità e la possibilità di lasciarsi andare. Per molti già l’idea di mollare il controllo è faticoso e spesso si insidia un falso senso di benessere in questa forzata organizzazione della personalità, di cui non riconoscendo la sofferenza, ma leggendo il lato altamente performativo, li trattiene dal mettersi in discussione e cambiare.
Sono pertanto destinati, se non cambiano, ad una vita dettata da regole e compiti, da un forte conformismo che li rende poco spontanei o istintivi. Inclini alla dipendenza da successo, lo sono anche in terapia, dove inconsciamente ripetono lo stesso copione..quello del paziente perfetto.
Rebecca Montagnino
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