QUINDI CHE DEVO FARE?
Riflettevo tempo fà che paradossalmente e un pò ironicamente la mia tesi di laurea riguardava gli usi del telefono e delle videotelefonate. Nel ’94 il telefono era davvero diverso: intanto ce n’era uno per tutti a casa, per cui occorreva attendere il proprio turno e non si poteva usarlo come oggi per soddisfare qualsiasi necessità pratica, psicologica, emotiva o fisica che fosse. La tesi citava tra le varie opportunità, i primi usi incoraggianti delle telemedicina, piuttosto che la possibilità di mantenere relazioni tra persone che erano andate ad abitare lontano. Probabilmente allora non si supponeva nemmeno che un giorno si sarebbe arrivati a fondare reparti ospedalieri per disintossicare gli utenti dall’ abuso e dalla dipendenza telefonica. La storia è piena di invenzioni utili trasformate in qualcosa di negativo o pericoloso poi. Come a dire non sono gli oggetti ad essere nefasti, ma l’utilizzo non consapevole dell’uomo.
La fruizione speed del telefono in fondo rispecchia la fruizione speed di “qualsiasi cosa ” come siamo portati a vivere oggi, dalla musica scaricata velocemente e ancora più velocemente dimenticata, dagli speed date, dalle relazioni che si lasciano alle spalle in un batter d’occhio; la frenesia dell’uso e la sbrigatività dello smaltimento, dirottano le facoltà umane ed emotive verso una misera e vuota superficialità. Cerchiamo risposte veloci attraverso domande di enorme importanza, con la richiesta di trovare la soluzione agli stessi tempi di Google ( e la stessa pigrizia). Nel mio lavoro ad esempio, appena espongo un problema e tento di mostrarne gli effetti o le dinamiche, quando ancora non è più che un informazione compresa cognitivamente, di certo non immagazzinata o consapevolizzata, scatta il “Quindi che devo fare? “. Ci sono abituata ormai, ma quello che ancora mi sconvolge è la pretesa di avere una risposta magica, una soluzione fulminea a qualcosa, senza che ci sia stato impegno o reale interiorizzazione. Tutto il processo psicologico già poco considerato in un’era in cui il materialismo sovrasta e regna, si limita in una domanda la cui risposta viene delegata senza aver tentato minimamente lo sforzo dell’approfondimento.
Così riviste di psicologia dirette da manager poco psicologi o grandi blogger o youtuber del momento sembrano possedere il verbo e la soluzione a tutto, attraverso ipersemplificazioni distorte, dove lasciano intendere che ci vuole poco per conoscersi e curarsi, quando invece occorre tanto impegno, tanta fatica, tanto coraggio, a volte dolore, perdita degli schemi, per avere consapevolezza di sè.
Per fare un esempio. Un tempo i regali ai bambini si facevano a natale e al compleanno, forse a qualche promozione importante. Oggi si fanno ogni giorno togliendo l’effetto attesa-desiderio-sorpresa. Non si abituano i bambini a meritare le cose, a saperle attendere e a capire se le desiderano davvero. Le loro camere sono negozi di giocattoli, quando vogliamo fare un regalo, abbiamo l’imbarazzo della scelta, ma nel senso di un imbarazzo nel trovare qualcosa che già non posseggono a quintali. Si abituano ad avere subito cose, senza impararne il valore, perchè meravigliarci poi se hanno difficoltà a gestirsi da soli? Si abituano a trovare sempre adulti che ne soddisfano i capricci come li manifestano; vivono in questa pericolosa bolla che esploderà tardi, quando tardi usciranno di casa, con troppi anni e poca esperienza del mondo e della vita e non reggeranno le legnate che immancabilmente arriveranno, specie quando non saranno ancora strutturati; o meglio lo saranno ma unicamente in senso narcisistico. Il loro bisogno di approvazione renderà a quel punto, qualsiasi critica anche costruttiva come il peggiore degli attacchi personali, qualsiasi situazione di frustrazione il più grave cataclisma.
Per questo come su Google cercano una risposta immediata, senza faticare a cercarla dentro di loro prima, anche spendendo due minuti su un libro. Non hanno capito cosa cercano e perchè lo cercano, perchè hanno un problema, come si manifesta, quando, con chi. Una cosa la sanno, la voglia di sbrigarsi a trovare un rimedio, come un antidolorifico o un anestetico. Se il loro impegno è lento lento, se i progressi arrivano piano, piano, piano, piano, piano la domanda del volere tutto e subito è follemente veloce invece.
La ricerca di soluzioni immediate non è perciò un fenomeno così strano e incomprensibile dal momento che a quello sono stati abituati, dalle famiglie che a fin di bene, li hanno esauditi sempre e dalla tecnologia che permette in un attimo di trovare risposte senza l’ impegno di scavare nella memoria, o rende la condivisione un modo per uscire rapidamente dalla fatica di essere se stessi e di vivere, La tecnologia laddove ha sostituito alcune tra la facoltà mentali più importanti in realtà ne ha cancellato la funzionalità (per chi volesse approfondire appunto, consiglio la puntata di “Presadiretta”, “Iperconnessi” o il bel libro di M.Spitzer “Connessi e isolati“). La tecnologia in fondo abbrevia il senso di solitudine e il terrore dell’abbandono, al costo però di lasciare il soggetto insicuro e sprovvisto di autonomia, dipendente dalla rete, come da una madre chioccia.
Quando vedo i bambini piccoli maneggiare o peggio possedere uno smart phone, gestire quell’oggetto dove noi adulti infiliamo tutta la nostra intimità, avere quel valore in mano ottenuto così velocemente, gratuitamente, penso che ai tempi della mia laurea le possibilità di usare il telefono come opportunità di nuovi sviluppi erano indice di progresso, quello che è avvenuto oggi è invece e solo un disastroso e pericoloso regresso.
Rebecca Montagnino
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