QUANDO L’EMPATIA ARRESTA L’INTELLIGENZA
Qualche mese mi sono imbattuta in un libro “Against empathy” di Paul Bloom…ho trovato il titolo coraggiosamente provocatorio e siccome amo espandermi anche in punti di vista alternativi, l’ho ..divorato. C’è anche un’altra ragione: il titolo in realtà solleticava un’idea che ogni tanto mi affiora e di cui ho già parlato in post precedenti. Per quanto mi sia innamorata e lo sono ancora del concetto di empatia, ho rivisto nel tempo quanto l’eccesso di questa possa essere un limite e quindi problema. Non solo perchè come tutti sappiamo l’empatia in eccesso provoca alla lunga il famoso burn out, ovvero si viene assorbiti o bruciati dall’ essere contagiati troppo dall’emotività altrui, tanto da non ascoltare più i propri bisogni e i giusti confini, ma per tutta una serie di motivi che andremo a vedere.
L’empatia è un dono bellissimo; un dono perchè se tutti la posseggono potenzialmente, non tutti la sanno indirizzare nel giusto modo. Spesso viene scambiata con la compassione, la simpatia, fintanto da confonderla con la debolezza, quando diviene un alibi per non “coinvolgersi” . Allontanata dal suo reale significato e dalla sua manifestazione autentica, finisce anche con il soffocare una rabbia o indignazione, che come dice la parola è non sentirsi meritevole/degno di stare a patti con qualcosa che per noi è invece vitale. Perdiamo così la capacità e l’opportunità per capire l’altro ( e meglio controllarlo,) di capire noi stessi e i nostri reali bisogni.
Un esempio lo abbiamo con i genitori che eccedono di empatia con i figli e non sanno dare loro regole; l’immedesimazione nel presente in cosa sentono a seguito di un loro rimprovero, fa si che il dispiacere di farli soffrire blocchi ogni capacità di riprenderli o dirli di no. Quest’ attitudine va a svantaggio dell’uso di una buona disciplina ed educazione per il futuro. Il figlio impara a negoziare, cercare il punto debole dei genitori per sfuggire alla regole o per ottenere ciò che vuole. I “grandi” perdono così oltre che autorità, anche stima e fiducia; se un figlio pensa di poter raggirare il genitore, perde un punto di riferimento e penserà di poterlo fare sempre e con chiunque nella vita. Questo a lungo termine provoca un fenomeno a cui assistiamo spesso: l’aumento del comportamento capriccioso e molesto dei bambini e la bassa tolleranza alla frustrazione nei giovani adulti. Vivere troppo nella testa dei figli rende i genitori eccessivamente protettivi, incapaci di impartire disciplina e controllo. Essere bravi genitori implica saper gestire la sofferenza a breve termine di un rifiuto, rendendoli anche meno felici, ma più in grado di autocontrollarsi e di saper stare al mondo un domani.
Ho preso il caso dei bambini perchè è quello più facile da valutare, ma questo concetto è alla base di qualsiasi processo di aiuto; usare il cuore non basta, bisogna sempre associare l’intelligenza, afferma l’autore nel libro. Farsi prendere dall’emotività momentanea sia perchè aiutare ci fa star bene, sia perchè non vogliamo “soffrire con l’altro” ed esserne specialmente noi la causa, non sempre è un atto di vero aiuto, quanto piuttosto di debolezza. Saper mettere da parte l’immedesimazione, i sensi di colpa o del dovere è importante perchè ciò che conta è trovare il modo migliore per aiutare. In caso contrario è continuare a proteggerlo o rafforzare un comportamento egocentrato e dannoso, in cui l’altro non usa le sue risorse come potrebbe. Ancora Bloom sulle ragioni di un uso eccessivo d’empatia: ” ci auguriamo di migliorare le nostre reputazioni, o ricevere aiuto dagli altri in futuro, o attrarre amici. O forse vogliamo sentirci buoni con noi stessi, o andare in paradiso dopo la morte. “
Dare empatia in maniera istintiva senza riflettere sulle sue conseguenze, significa avere un grado di soddisfazione immediato ma anche momentaneo, una sorta di impulso appunto; sentirsi “buoni”, talvolta anche con il potere del controllo implicito, crea un legame di dipendenza che rallegra, ma che non cambia la vita a chi stiamo aiutando. Lo facciamo per noi o per lui? Come afferma ancora Bloom “ Il cuore ti motiva, apre al bene, la mente poi fa in modo trovare il meglio, affinchè avvenga il bene. Le persone spesso sono concentrate troppo a fare la cosa “giusta”, più che cercare cosa faccia bene.”
Questo è il modo in cui la saggezza viene soppiantata spesso dall’eccesso di emotività anche con noi stessi. Quando ci blocchiamo dal difendere i nostri diritti perchè stiamo entrando “troppo in empatia“, stiamo solo distruggendo ancora di più l’autostima scarsa che abbiamo o siamo presi dal bisogno di approvazione e/o a leggere il risultato di un nostro comportamento nell’emotività dell’altro. Questo ci serve solo a non esserne rifiutati o a venirne apprezzati, ma non ci aiuta. Ricordiamo sempre che l’assertività viaggia in parallelo con l’autostima, quanto la passività fa con la disistima.
Inoltre sorge una domanda: sappiamo davvero immedesimarci nell’altro? Sappiamo davvero cosa pensi, di cosa necessiti? Spesso è semplicemente il frutto di una nostra proiezione e se non conosciamo il genere di proiezioni che facciamo, stiamo supponendo con un nostro filtro o stiamo avendo un’idea di cosa provi l’altro. Ad esempio sarà capitato a tutti è di ricevere un regalo con cui l’altro era convinto di farci piacere, mentre noi ci ritroviamo in mano qualcosa che non ci appartiene minimamente. Questi misunderstandings sono all’ordine del giorno e dipendono appunto da immedesimazioni o proiezioni inconsapevoli.
L’empatia è stata da sempre il fulcro del mio lavoro; infatti nasco in primis da un’approccio Rogersiano dove l’empatia è alla base delle relazione d’aiuto, nel tempo ho solo imparato a direzionarla in modo più efficace. Mi serve a capire ma non deve per forza servire ad interagire se non è funzionale al problema o allo stato del paziente sul momento. Ho realizzato che spesso con un ‘eccessiva empatia, potevo correre il rischio di vittimizzare maggiormente vissuti o convinzioni, senza invece concentrarmi e focalizzarmi affinchè le persone usassero le loro risorse per venirne fuori.
L’empatia è prosegue Bloom una grande risorsa, in genere però attivata unicamente in caso di situazioni che sentiamo vicine, simili a noi, non possiamo di fatto empatizzare genuinamente con tante persone alla volta. La gentilezza e il rispetto (aggiungo io) a volte basterebbe, di sicuro è un primo passo importante verso un senso civico maggiore e verso relazioni più funzionali.
Rebecca Montagnino
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