PERFETTAMENTE ALIENATI
Mi chiedono e mi domando spesso: la tecnologia può essere manipolativa e pericolosa in un momento storico in cui la fragilità dell’Io è tanto profonda? La tecnologia può esserlo se affidiamo tutta la nostra vita ad uno strumento, come dice il regista del film Paolo Genovese, “Perfetti sconosciuti” che fortunatamente sta straspopolando in queste ultime settimane. Ne sono lieta perché intanto una prova c’è che il cinema italiano non è la solita commedia idiota che incarna le mediocrità del nostro paese, inguardabile all’estero. Ne sono ancora più lieta perché mette in luce un aspetto della nostra vita scomodo, sporco e squallido, che come la sporcizia troppo spesso finisce per essere nascosta sotto lo zerbino. A chi nel vedere il film si è sentito difronte a scene di fantascienza, gli assicuro che ascolto storie come quelle ogni giorno!
Anche chi non usa i social network ne è circondato e invaso, semplicemente perchè gli viene mostrato il contenuto da chi li usa o perchè ad un certo punto si autoesclude da tutta una parte di eventi e incontri. E’ impossibile sfuggirne. Eppure guardarli da fuori ne permette uno sguardo “neutro”, non coinvolto e permette di riconoscere i meccanismi, i giochi di potere, le manovre manipolative con un’ obiettività che chi sta dentro ha perso. Quel pubblico e privato non esiste più nella misura in cui chi mostra il suo privato, l’ha già ampiamente selezionato e non si manifesta a chi lo vuole conoscere in modo libero e spontaneo. Al che diviene naturale e una conseguenza diciamo inevitabile, creare uno spazio ancora più segreto, scappare dagli occhi di chiunque per crearsi dei ruoli che possono essere semplici fughe dalla realtà, fino a sfociare in storie parallele che si muovono senza mai o quasi intersecarsi. Il film desta meraviglia scomoda, sebbene sia risaputo già da anni che un matrimonio su cinque ha tra le cause del suo fallimento, Facebook. Così in molti, come il protagonista, preferiscono non violare la privacy del proprio partner, non per ragioni etiche, quanto per non dover affrontare la visione di parti indesiderate che richiederebbero poi una presa di posizione ancora più scomoda.
Non che non sia giusto avere un mondo interiore privato, una parte di segreti che restano solo nella mente, nei desideri. Diverso è camminare su fili di equilibri malsani, in cui si fa di tutto ma non si vuole assumere la responsabilità di esserne giudicati. Ci sono segreti e segreti… Quel mondo privato in genere non nuoce a nessuno, mentre la manipolazione della verità è qualcosa di molto più grave. Questo gioco tra il visibile e il non visibile rende per forza ambigui. I profili sono in fondo un biglietto da visita e vanno da uno spudorato esibizionismo, a volte con sfumature di esaltazione della propria immagine, a foto che comunque vogliono dare un’immagine/ creare un’identità ad hoc per il proprio pubblico. Quanto sono poi davvero coerenti con la personalità autentica del possessore del profilo, è un’altra storia…un pò come the Simps, dove si inventa un’identità, sempre diversa da quella che si ha davvero.
Non importa che sia autentico ciò che viene mostrato, rappresenta comunque quello che vogliamo definire di noi e pertanto il web sa dove indirizzarci non tanto su dove vogliamo andare a parare, ma dove vogliamo far credere di andare, il che da un punto di vista relazionale in fondo fa lo stesso. Leggevo con sconcerto qualche settimana fa che Facebook tra non molto introdurrà oltre gli amici, i conoscenti. Sarà divertente scoprire che quello che noi reputavamo essere il nostro migliore amico ci mette tra i conoscenti. Questo condurrà ancora di più lo “spionaggio” mediatico dei social ad inasprirsi. C’è di fatto una relazione inversamente proporzionale tra la visita ai profili degli ex che siano ex mariti, ex amici, ex amanti, ex collaboratori per indagarne il presente e la morbosità con cui viene fatto. Questa sorveglianza a distanza definita “Facebook Surveillance consente di illudersi sulla possibilità di non perdere del tutto il controllo sull’ex e a volte viene eseguita usando gli account di altri amici in comune, rende più difficile riprendersi e ostacola la crescita personale…il controllo ha effetti sull’elaborazione del lutto, bloccando chi lo attua nel passato e non consentendogli di andare avanti nel presente. Da una ricerca emerge che lo stress resta molto acuto, ancora di più di chi lo incontra di persona (La stampa www.medicitalia.it>Blog) “. La rete e i social network alimentano quello spirito voyeuristico e malsano di restare aggrappati a situazioni tossiche, con lo stesso soddisfacimento di come si guarda il Grande Fratello. Non solo. Quest’attaccamento senza elaborazione è nocivo all’integrità, all’autenticità dell’essere umano.
L’ aumento della popolarità di social come Instagram o Snapchat ( che dice: la vita è più divertente quando si vive ogni momento!!!!) dove trionfa il video o la foto, è lo specchio di come il narcisismo di massa prolifera, anche secondo il giornalista Paolo di Stefano che nel “Corriere della Sera”afferma che i social hanno contribuito in modo fortissimo ad aumentare il fenomeno (trovate il link in basso). Chiunque si sente in dovere e in diritto di mostrarsi, sente che qualsiasi momento della sua vita sia così interessante da dover esser condiviso. La spettacolarità del proprio essere viene così esibito in modo spudorato, anche perchè lo “spudorato” è diventato sinonimo di apertura mentale, ed essendo così dilagante la patologia ha assunto i connotati della normalità. Anzi. Sembra quasi che disapprovare con spirito critico il beneficio di chi si ritrae sia segno di squilibrio.
A farne le spese sono le generazioni dei più giovani, la ME GENERATION o I-generation, che nutre il suo Ego in modo sempre più auto-referenziato alienandosi dai rapporti con gli altri. Ma non sono escluse le generazioni precedenti che in fondo mostrano quanto sia fico avere quell’aggeggino o ricevere i “mi piace” e creano nei loro figli la stessa voglia di evadere dalla quotidiana identità. Solo che questi superano i genitori, con foto di adolescenti pericolosamente somiglianti a pornodive. A volte guardo nei locali comitive di ragazzini, con la testa bassa, non per la normale timidezza dell’età, ma perchè sono ipnotizzati dal rispondere, leggere notifiche. Tra loro l’assenza di relazioni, sono alienati come nelle loro stanze. Sento famiglie che discutono tra loro (nella stessa casa che non ha esattamente la planimetria della reggia di Caserta) via whatsapp, nonché leggere (controllare) rispettivamente i propri telefoni la sera prima di addormentarsi come “segno” di fiducia. La punizione di molti genitori è: una settimana senza pc, un mese senza telefono, due settimane senza Facebook (cosa tra l’altro facilmente rimediabile). Non è che invece manca l’esempio, l’alternativa, la consapevolezza di avere presso i propri figli meno autorità di un Iphone ?
C’è qualcosa di aggressivo, di invadente in tutto questo pot pourri di immagini. Lontane dall’intimità le persone si disintegrano talmente da non sapere più chi e cosa siano. Un tempo era maleducato stare al telefono in presenza di altre persone, oggi coloro che in una tavola non guardano compulsivamente il loro aggeggio, vengono scambiati per sfigati, senza capire che non è la mancanza di connessione che hanno con il mondo, quanto un’attenzione genuina e partecipativa alle persone che hanno intorno.
E’ aggressivo lo sproloquio delle chat, l’esubero di cuoricini, faccine tristi/felici/arrabbiate/divertite che non dicono niente. Niente di autentico soprattutto e dimostrano un vuoto di sentimenti per lo più artificiali dietro cui nascondersi. Ho trovato tra i vari link che ho postato alla fine, uno molto interessante sul linguaggio (silenzi compresi) di whatsapp che leggendolo probabilmente vi farà riflettere su quante volte avete fatto le stesse riflessioni senza avere mai il coraggio di ammetterle. Ma a quanto pare ci muoviamo e nemmeno tanto inconsapevolmente, su di un filo sottile in cui stiamo sparendo come esseri veri e coerenti per frantumarci in mille maschere, con la paura di non essere Nessuno.
Ci piace credere che cerchiamo l’informazione libera, che libera sappiamo non è grazie agli studi, concentrati in modo interessante ed esplicativo nel libro “Il filtro”, che ci spiega come algoritmi costruiti alla perfezione ci muovono verso ciò che siamo soliti cercare, rafforzando in tal maniera le nostre opinioni senza farci confrontare con il resto del mondo che la pensa diversamente da noi; o che aspira ai nostri profili per schedarci tutti appassionatamente presso pubblicità o cookies ai quali restiamo incollati a vita. Sentivo l’altra sera che in caso di indagini giudiziarie vengono visitate le cronologie dei nostri pc, che dicono molto più di tante macchine della verità.
Persino la Guzzanti sta facendo uno spettacolo sulla stupidità intesa come ottusità di un mondo che vuol essere libero, ma è più imprigionato che mai, di masse che regalano tempo, affetti in nome di un link o di un mi piace. Ma vogliamo davvero affidarci ad un oggetto, vogliamo davvero radere la nostra autenticità in nome di cosa poi ?
Come ho ribadito altre volte non ho nulla contro i social, ce l’ho con l’uso/abuso che se ne fa. Mi spaventa che in un momento storico come il nostro impreparato ad integrare i cambiamenti, dove il problema maggiore dell’individuo riguarda l’Identità, uno strumento del genere possa incrementare e diffondere la patologia. Anche perchè vi sarete accorti che, come tutti coloro che soffrono di dipendenze, chi abusa della tecnologia ha sempre pronta una scusa per dire che non è vero e deresponsabilizzarsi del problema.
Come afferma Jean M.Twenge “soffriamo di mal nutrizione affettiva a causa di una dieta spazzatura a base di messaggi istantanei, e e-mail e telefonate”. Abitiamo identità elastiche che mettiamo e smettiamo a seconda del contesto, senza avere un centro. Parliamo di Me-generation che non è un caso indica me stesso, non l’Io. L’io è ben altra cosa. ” Chi vive quando vive, non si vede: vive. Se uno può vedere la propria vita è segno che non la sta vivendo più, la subisce, la trascina.” Luigi Pirandello.
Dott.ssa Rebecca Montagnino
BIBLIOGRAFIA:
Il Filtro, Eli Pariser
Generazione App, H,Gardner
MeGeneration, Jean Me Twenge
Facebook mi piace, Anna Pazzaglia
Il profumo dei limoni , J.Linch
http://www.huffingtonpost.it/alfonso-gianni/facebook-manipolazione-coscienze_b_5543447.html
http://www.pensierocritico.eu/manipolazione-mediatica.htm
https://m.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1014500895262348&id=263975460314899
FILMOGRAFIA:
Perfetti sconosciuti, Paolo Genovese 2016
Re- generation, documentary film by P.Montgomery 2010
Disconnect, di Henry Alex Rubin 2012
Come ne venimmo fuori, S.Guzzanti 2016
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