Perchè la terapia è difficile per chi soffre di disturbo narcisistico di personalità.
Il primo requisito per intraprendere un percorso terapeutico è quello di sapersi mettere in discussione, il saper analizzare cioè le cose diversamente da come si vedono solitamente. Non vuol dire che il proprio punto di vista sia sbagliato, ma è soggettivo e autoreferenziato e quindi presenta dei limiti di obiettività. Se misurarsi con opinioni e pareri diversi dai propri è importante e difficile per tante persone, lo è ancora di più per coloro che hanno un disturbo narcisistico di personalità…Mettersi in discussione implica infatti il confronto con l’altro e l’essere autenticamente sè stessi; per questo è presente in ogni genere di comunicazione efficace ed è alla base di ogni relazione consapevole.
Chi dimora in una bolla narcisista spesso non sa chi è davvero, vive intrappolato in una o mille delle sue immagini e teme quindi una relazione in cui gli viene chiesto di specchiarsi per scoprire sè stesso (forse per la prima volta). Significa per lui rischiare di mettersi a nudo e di non uscire “vincente”.
IL PIEDISTALLO DEL NARCISISTA. Se qualcuno vive su un piedistallo, è difficile dirgli di scendere, vedrebbe la proposta come inaccettabile. Questo è quello che accade a chi soffre di disturbo narcisistico (DN). Se pensa di essere migliore degli altri, perchè mai dovrebbe avere qualcosa che non va? Dove sta in fondo sta bene, non viene mai difatti in terapia perchè è consapevole del suo problema; ciò che lo spinge sono disturbi d’ansia, attacchi di panico, un senso di profonda insoddisfazione. A volte arriva dopo un percepito fallimento da cui non riesce a riprendersi o perchè viene preso da attacchi di rabbia incontrollabili anche quando la situazione esterna non è così grave.
Non è suo il problema, il problema è degli altri semmai, sia perchè hanno a che fare con lui, sia perchè è perennemente deresponsabilizzato. Peccando di presunzione e superbia in effetti non può vedere con obiettività la situazione, nè tantomeno leggere il suo comportamento. Sentendosi superiore e ambendo al sentirsi speciale, non può capire fino in fondo quello che gli viene mostrato. “Solo lui può”, è la convinzione dettata dal suo senso di onnipotenza di cui non è cosciente. Ogni sua parola trova così una collocazione ad hoc per confermare la sua ipotesi. Gli scivola, impassibilmente, ogni argomentazione altrui, perchè convinto di sapere già (pre-sumere) quello che gli staranno per dire. Si sente convinto di sè stesso- conseguenza di un’autostima fragile ed un Io ipertrofico- e convinto di avere sempre ragione, per cui la percezione e l’assorbimento dei contenuti, specie se non in accordo con i propri, penetrano solo parzialmente e superficialmente. Gli rimane difficile ascoltare ciò che non combacia con le sue idee, è come se facesse inconsciamente una selezione degli argomenti in entrata: ciò che esula dal suo interesse, quindi dalla sua persona e dalla sua personale visione, viene scartato.
E’ difficile il suo percorso perchè il suo bisogno d’accettazione lo rende particolarmente suscettibile; per questo reagisce ad ogni tentativo di metterlo in discussione con aggressività, per lui rappresenta un attacco o una critica. Non sopporta infatti essere criticato, in quanto vive per l’accettazione incondizionata; come può quindi essere disposto a vedersi come non si vede, cambiando l’immagine altissima che ha di sè stesso? Così anche i tentativi di mostrargli una realtà diversa da quella che si racconta abitualmente, si trasforma in una resistenza ostile. Difende come può un inevitabile ferita narcisistica.
La fonte in cui si rispecchia gli rimanda un’immagine che non è quella che lui si affanna da una vita a costruire, presenta delle imperfezioni. Quando si accosta a capire come può essere percepito realmente dagli altri, non è il rimorso infatti che lo attanaglia, quello richiederebbe una antecedente capacità di empatia, che non possiede. No quello che lo affligge è la possibilità di non esser considerato come vuole e pretende. Se rischia di essere smascherato dal terapeuta, anche gli altri possono vedere quel lato oscuro che tiene forzatamente nascosto alla luce del mondo.
Il narcisista vive di competizione: anche la terapia diviene così un ring, in cui il bisogno di controllo lo rende o ipervigile o in costante tentativo di gestire la relazione e di mostrare così il suo potere. Sia per difesa quindi che per mancanza di empatia, tende alla mentalizzazione e si discosta dalle sue emozioni. E’ un altro modo per evitare un eventuale ferita nel suo Ego.
GlenO. Gabbard e Holly Crisp, Il disagio del narcisismo affermano infatti che ” un tema che attraversa tutti i titpi di narcisismi è la preoccupazione per come si viene visti e percepiti dagli altri..quelli fragili o ipervigili cercano di conservare l’autostima ed evitano le situazioni umilianti entrando in sintonia con gli altri e sforzandosi di capire come comportarsi . Quelli inconsapevoli cercano di proteggersi dalla ferita narcisistica creandosi uno scudo che esclude le relazioni con gli altri”
OSCILLAZIONE TRA SENTIMENTI DI GRANDIOSITA’ E DI INADEGUATEZZA. Sia che appartenga all’una o l’altra caratterizzazione, il narcisista solitamente oscilla tra questi due poli e la terapia rappresenta perciò un rischio in entrambi i casi: o che venga rivelato nella sua fragilità o che l’Io mascherato da alta funzionalità possa incepparsi. La vergogna che è il sentimento che più teme di provare come il sentirsi umiliato, potrebbero nascondersi dietro l’angolo a seguito di un’introspezione più profonda. Questa è una delle ragioni per cui è difficile trattenerli in terapia.
A volte si mostrano sprezzanti, altre volte sembrano mettere in dubbio le capacità professionali (quindi anche il narcisismo) del terapeuta. Questi sono sovente i loro approcci iniziali, almeno finchè non raggiungono un grado d fiducia e una volontà di affidamento (alleanza terapeutica). Accanto presentano il bisogno di sedurre la figura del terapeuta, sapendo abilmente cosa dire per essere approvati; finiscono con il trovare le argomentazioni e i risultati auspicati, sebbene apparenti, che fanno di loro il modello di paziente ideale.
Quest’analisi del tranfert e controstransfert viene dettagliato molto bene nell’opera di Gabbard, in cui mette in evidenza come reazioni ostili si alternino con altre in cui cercano di ricreare le stesse dinamiche relazionali che hanno fuori, ad esempio costruendo storie fantastiche con il tentativo di sorprendere anche nel setting.
Twenge e Campbell ( ricordiamo per la pubblicazione di Me generation) hanno più volte sottolineato come il fenomeno del narcisismo riguardi sia una problematica individuale che un disagio culturale; “quest epidemia implica sia individui con alti livelli di narcisismo che uno spostamento sui valori culturali condivisi verso un maggiore narcisismo e una maggiore ammirazione per sè stessi”. Nell’organizzazione narcisistica infatti l’altro non esiste se non per soddisfare i bisogni personali. Di conseguenza anche la figura del terapeuta spesso viene considerata come una cassa di risonanza vuota, necessario solo per sfogarsi. Lavorare su di loro, essere introspettivi è impensabile, quello che vogliono è solo pura accettazione. Incapaci di reciprocità passano così da una forma di idealizzazione estrema di chi li aiuta, ad attacchi quando non viengono condivisi.
LA RICERCA DELL’ACCETTAZIONE INCONDIZIONATA.
Spesso l’hanno ricevuta (anche se non significa che abbiano per questo autostima, anzi!), la ricevono o sono abili nel circondarsi di chi la elargisce senza capire la dinamica in cui sono intrappolati. Non sentendo di avere un problema, vivono la terapia come uno scarico; appena si incrina l’immagine che hanno costruito del loro vissuto, anche di vittime, pur di essere speciali, il loro interesse cala o arrivano ondate di quella che viene definita rabbia narcisistica (per chi volesse un articolo di approfondimento su questo lato in alto). Il rischio nella terapia da parte del consulente, è quello di empatizzare sempre e comunque perchè i loro pazienti non riescono ad andare oltre.
Talvolta non hanno un vero obiettivo di cambiamento, vogliono sono accondiscenza o uscire dagli stati di malessere. La vera risoluzione non collima quindi e non è inerente a quella che realmente dovrebbe invece “guarirli”. Quello che cercano è una conferma, qualcuno che li rassicuri, che dia loro ragione.
Non si accorgono quindi dell’assurdità delle loro pretese nel mondo e con gli altri. A volte sembra che non vogliono proprio uscire dal contesto narcisistico e non solo pe rpaura di quello che non conoscono in caso questo venisse a mancare, ma perchè è una enorme e calda zona di confort. Vogliono tutto e subito, la convinzione a cui sono abituati, quella di pretendere di avere dei diritti speciali, non comprendere che i loro desideri sono invece postcipabili, se non a volte non realizzabili. E’ difficile far loro comprendere che esiste altro al di fuori che ciò che ruota intono alle esigenze proprie: quando realizzano tale situazione, sentono una forte intolleranza/resistenza.
La ricerca di gratificazione continua infatti, con il tempo abbassa sempre più la loro tolleranza alla frustrazione. Nella loro idea il mondo deve loro riconoscimento e magari anche essere come loro lo vogliono, quando lo vogliono. Di conseguenza la terapia che d’altro canto richiede un percorso lungo e fatto di pazienza, come di scoperte non gradevoli a volte, diviene insopportabile.
Più che lavorare su di sè cercano quindi un testimone a cui raccontarsi, un pubblico di nuovo pronto come fanno i social o le persone con cui entrano in relazione ad ammirarli; la difficoltà di percepire il proprio io al di fuori delle esperienze compiute. ostacola quello che è la terapia, un lavoro più profondo sull’identità. Cercano soprattutto un rimedio veloce e possibilmente miracoloso, che eviti la lungaggine e la fatica di mettersi in discussione.
Spesso dettano loro le regole o gli appuntamenti, denotando pretese secondo cui loro rappresentano l’ Eccezione. Questa è difatti l’idea con cui vivono da sempre, spesso dai tempi dell’infanzia ed è inimmaginabile che la terapia possa scostarsi da questa dinamica. Le regole non valgono nel loro mondo, sono noiose e richiedono un adeguamento a cui la presunzione di cui sono afflitti, non permette di “piegarsi”. Il setting rischia perciò, quando queste dinamiche non vengono riconosciute, di diventare un gioco di potere “Segretamente sognano di ricevere conferme e ammirazione per quello che sono e non pensano di avere bisogno di cambiare. In questi pazienti la resistenza è intransigente. ..Il terapeuta deve arrivare talvolta alla conclusione che il paziente semplicemente non è in grado di tollerare nient’altro che empatia, supporto e approvazione”, afferma ancora Gabbard evidenziando quanto questo è chiaramente difficile se si sente che il proprio lavoro è voler aiutare davvero qualcuno.
LA TERAPIA FUNZIONA. Non è facile per coloro che soffrono di DN incrinare quell’immagine che hanno costruito nel tempo, sia per condizioni personali che sociali, è una ferita profonda. Non sopportano non sentirsi speciali, figuriamoci rasentare la possibilità di essere normali o persino mediocri. Dietro la facciata di onnipotenza, superbia ed esaltazione, ricordiamo che in realtà si nasconde un Io fragile che più si percepisce tale, più lotta per non essere s-mascherato. Sanno in fondo di non sapere chi sono davvero e dover conoscersi da adulti per ricominciare in qualche modo daccapo non è facile. Significa rimettere in discussione valori e gusti con cui hanno vissuto fino a quel momento. Nel loro disagio non stanno poi così male, almeno non da quel punto di vista. Occorre molto lavoro quindi per mostrarli i vantaggi che avrebbero e che spesso non intravedono neppure, nell’abbandonare quel ruolo.
La terapia funziona però. Quando arrivano a mettersi in discussione e toccare i primi segni di empatia, a capire che oltre al loro piacere e al soddisfacimento dei loro bisogni, c’è un Altro a sua volta dotato di bisogni e sentimenti. E’ necessario far sentire quanto l’indifferenza e l’impassibilità con cui si muovo ferisca, iniziarli al concetto e sentimento di rimorso. Esattamente il confutare le convinzioni radicate nelle loro identità, come la capacità di sentire e di mettersi nei panni altrui, rappresentano un punto di partenza e l’inizio del vero percorso. Poi progressivamente, dovranno rinunciare al piedistallo, dismettere le idee di grandiosità, scoprire la vera autostima. E dulcis in fondo lasciar andare il bisogno di approvazione.
Rebecca Montagnino
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