PERCHE’ ALLA NOSTRA MENTE SERVE L’INGLESE….
Imparare l’inglese serve come sappiamo ormai da tempo, a muoverci nel mondo. Partendo dal presupposto che intanto la conoscenza di qualsiasi lingua è un arricchimento di cultura, di modi di vivere. Ci aiuta a sviluppare neuroni, in quanto ci ci toglie dalla fissità percettiva con cui definiamo le cose; impariamo così che una definizione muta a seconda della lingua, muta il genere, muta il tempo. Quando parlo però dell’importanza che può avere studiare l’inglese per la nostra mente, mi riferisco a quanto affermano recenti studi di linguistica: se l’italiano ha come lingua neolatina una modalità espressiva atta ad “impressionare” il lettore, l’inglese tende invece ad essere pratico, essenziale e pertanto più esatto. Da un punto di vista terapeutico- più strettamente è la base della programmazione neurolinguistica- riducendo l’effimero (snellendo la frase da dettagli non rilevanti) anche linguisticamente, si aiuta spesso chi soffre di esagerata razionalizzazione o di rimurginio ad alleggerire i processi mentali. Significa quindi che addobbare come un albero di natale un periodo con eccessivi avverbi, aggettivi, costruzioni sintattiche, finisce con il farci aggrovigliare anche in modo retorico sui nostri pensieri. Conoscere metodi di ragionamento più sintetico ed elastico ci permette quindi di usare maggiore semplicità e semplificazione a livello cognitivo, alleggerimento molto funzionale. L’affaccendarsi a livello linguistico, come proclama sempre la Pnl, è indicativo del nostro modo di ragionare, crea fatica e ci sprecare energia: cercare vari termini per designare uno stato emotivo, rischia di amplificare anche inutilmente ciò che invece non farebbe un termine specifico atto a designare il concetto di cui vogliamo parlare o l’emozione che proviamo. Basta guardare la lungaggine e quanto sono prolissi i messaggi o le email che mandiamo.
L’italiano ancora è una lingua approssimativa almeno nell’uso comune, quanti di voi ad esempio usano l’espressione ci sentiamo coscienti del fatto che quando viene usato su di noi, non si ha la minima idea se questo avverrà da qua a cinque anni. Se è un tempo presente perchè dunque lo usiamo al futuro? Così il rischio dell’incertezza/ insicurezza, dilaga con conseguente ed inevitabile masturbazione mentale.
L’inglese è molto più cortese dell’ italiano e sono sempre più convinta che la buona educazione sia la base della civiltà. Qui se qualcuno ci urta mentre attraversiamo non sogniamo di scusarci, anzi cerchiamo con gli occhi i testimoni che ci diano ragione e la prima cosa che facciamo è giustificare la nostra posizione, cerchiamo la deresponsabilizzazione sempre, a tutti i costi. Non è importante nei paesi fuori confine, stabilire chi camminava storto o distrattamente, intanto ci si scusa; significa aver preso atto che l’altro esiste. Ecco qui sta una profonda differenza; crescere con l’idea che non siamo i soli abitanti del pianeta, non è ancora rispetto forse, ma è la base perchè lo diventi.
Senza fare assolutismi, bisogna considerare che l’assenza di confronto conduce ad una cecità rispetto alle proprie convinzioni, modi di vivere, dimenticando che per valutare occorre conoscere anche punti di vista o livelli da cui vedere le cose che siano diversi dal nostro. Altrimenti ci si abitua, ci si chiude. Si diventa ottusamente autoreferenziati.
Se un paese non evolve culturalmente non può vivere solo dei fasti del passato, che diventano, se non sono già diventati, decadenti o decaduti Perchè se qui eravamo fermi già da un pezzo, in quel mentre fuori sono andati ancora più avanti da tanti punti di vista. L’impressione quando si esce e che non siamo più adeguati. La distanza è seria. E’ quel gap che segna la differenza. Quindi MIND THE GAP….forse non è solo una frase celebre ormai messa un pò ovunque, è che quella distanza esiste per tutte le cose, in fondo lo sappiamo. Qualsiasi cosa ha un limite, la cura rispetto la malattia, il progresso, la cultura e la conoscenza… Anche nei rapporti umani, a volte il gap diventa troppo grande, e diventa troppo tardi per tornare indietro. Come se ci fosse una scadenza oltre la quale passiamo il turno o perdiamo il treno. Non sempre le situazioni sono riparabili, ce lo insegnano sin dai tempi della scuola con le materie da riparare, sapendo che se sono troppe, c’è la bocciatura. Ecco il rischio è che il gap culturale in cui siamo noi sia davvero enorme adesso e bisogna prenderne atto, svegliarci da questa chiusura mentale, confrontarci un pò…sfondare la nostra immensa zona confort, anche per scoprire che di confort c’è rimasta magari solo la paura verso il “nuovo”. I cambiamenti spaventano ovvio, ma una cultura che si crogiola di sicurezza e protezione finisce per chiudersi in una bolla di conformismo che diventa poi solo un triste e misero boomerang.
Rebecca Montagnino
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