OMERTOSA MENTE
Le mie recenti ricerche sull’assertività ( e sul non averla) mi stanno aprendo un mondo. Grazie anche all’entusiasmo del recente corso ho approfondito e riflettuto ancora di più su quanto sia importante promuoverla. Sono tantissimi gli aspetti ad essa collegati, aspetti fondamentali per la personalità quali l’autostima, la volontà e la capacità di direzionarla, l’ansia e soprattutto l’onnipresente bisogno di approvazione.
Il termine poco usato in quanto poco conosciuto, già manifesta una sorprendente realtà: in questo paese siamo poco assertivi. Prima di tutto siamo abituati sin dalla nascita a comunicare in modo indiretto: triangolazioni comunicative tipo “di a tuo fratello…, chiama tua madre per dirle…, senti tuo padre…”, sono modi di dire con cui conviviamo e non ci viene in mente un sano e assertivo “perchè non lo fai tu? “. Non in tono polemico, ma come spunto riflessivo, in quanto la chiarezza porta chiarificazione. Perchè non ci abituiamo a dire le cose (o magari anche a non dire cose ma a “parlare” di cose essenziali, che di fatto mancano spesso) direttamente, onestamente senza paura di cosa penseranno o faranno gli altri, considerando che anzi, a volte sarebbe un aiuto prezioso nei nostri rapporti. Non ci confrontiamo per paura di creare conflitti, senza realizzare che arrivare ad un confronto, persino ad uno scontro, è essenziale nelle relazioni umane. E’ questa distorsione purtroppo che confonde per prima il significato delle dinamiche, la sposta su ambiguità di pensiero e di comunicazione che creano fraintendimenti, attivando al contempo una ricerca dietrologica delle vere intenzioni del nostro interlocutore. Questo genera ansia e insicurezza. Un conflitto interno tra il bisogno di dire qualcosa e il blocco per le temibili ripercussioni, con il solo svantaggio di ingenerare difficoltà di lettura della realtà e di discernimento della verità. Ma ancora di più non aiuta lo sviluppo di noi stessi o degli altri. Siamo condannati così ad un comportamento quasi omertoso prima con chi ci sta vicino e alla lunga con noi stessi.
La santa assertività prevede infatti l’esprimere onestamente, direttamente opinioni, bisogni, emozioni. Ovvio che se siamo abituati ed educati a non farlo, avremo due conseguenze immediate: l’aspettarci che gli altri capiscano e il non allenamento alla sincerità, trovando sempre modi che permettano di fuggire da situazioni percepite come scomode. Ad esempio ci abituiamo a non essere del tutto spontanei, a trovare scuse se non ci va di fare qualcosa. L’assertività invece permette a noi di esprimerci, rispettando l’altro senza aggredirlo ( e persino a non mentirgli, rispettando così la dignità di entrambi). Di fatto il contrario conduce per forza alla passività e l’unico modo che abbiamo per esprimere i nostri bisogni o opinioni, è quello di urlare o sovrapporci agli altri (splendido esempio di questo tipo di comunicazione aggressiva nostrana, lo possiamo osservare accendendo la tv e guardando qualsiasi tipo di programma).
L’ educazione attuale è tutta attenta a costruire una bella immagine di persona, di famiglia poi, raramente ad asservire la sincerità. I danni che un’educazione passiva sta facendo sono impensabili probabilmente per chi non lavora nel mio settore e infiniti per chi non ci lavora.
Di fatto…
Se ho poca volontà, avrò poca autostima
Se agisco/mi esprimo per compiacere sempre gli altri, soffrirò di bisogno di approvazione
Se mi hanno educato passivamente con complimenti che alimentano l’ego e non l’autostima, sarò dipendente dal giudizio degli altri
Se non avrò imparato a rispettarmi, non saprò difendermi
Se non saprò dirigere la mia volontà e non sarò dotato di disciplina interiore, specie per le cose che amo, non sarò in grado di cercare il mio benessere
Se non avrò chiaro cosa voglio, non saprò riconoscere le mie priorità e avrò un senso di insoddisfazione costante
Se non avrò la giusta determinazione, avrò una tolleranza alla frustrazione bassa
Se non saprò chi sono, non saprò affrontare la vita, sarò pieno di dipendenze, insicurezze e ansia.
Eppure educare all’assertività chi educa è difficile, non se ne vedono i vantaggi che dopo averne visto i danni. Non ci si rende conto che attiviamo probabilmente la parte che meno si vorrebbe per i figli: la debolezza, l’incapacità di badare e bastare a sè stessi.
Per tali ragioni i figli di questa catastrofe sociale sono i più difficili da curare, sono come persi e troppo abituati a chi fa per loro, decide per loro. L’intento di darli una vita migliore purtroppo non è andato a buon termine: resta una vita ovattata troppo distante dalla mera e cruda realtà che quando arriva, anche in piccole dosi, per situazioni leggere, ha lo stesso effetto di un treno in faccia. Quello che viene mostrato come liberazione, a loro dà un senso di vuoto, di destabilizzazione, di vertigine quasi, la sola cosa in cui si riconoscono e si sentono a casa è lo stato ansioso che paradossalmente permette di languire in loro stessi, come al riparo di quel mondo sconosciuto. Non è un caso che riescono negli studi, dove il compito è più cognitivo e meno in quello relazionale, che richiede un precedente apprendimento tramite l’esperienza di vita. Averli tenuti stretti, vicini, a soffocarli di protezione ne ha indebolito la volontà e la forza, come a svuotarne la spina dorsale. Troppo spesso e dopo tempo, si capisce che la protezione non è altro che un difettoso meccanismo nascosto di controllo. E se il controllo, come la valutazione viene sempre dall’esterno, anticipando eventuali difficoltà, la conseguenza è la totale assenza di un indice di riferimento interno e quindi di autostima.
Sono stati e sono protetti, ma non è stato insegnato loro a proteggersi da soli e restano come eterni cuccioli in un’ eterna zona confort in cui è più comodo lasciarsi vivere che vivere. Senza rischiare, senza responsabilità fin che possono, non capendo che è proprio quel prolungato periodo in incubatrice che può diventar fatale. Stanno peggio di chi è stato protetto poco: questi hanno avuto la possibilità, se non altro, di capire prima la vita, “o ti muovi o soccombi”. Solo così puoi misurarti con i tuoi limiti, la tua forza, le tue risorse.
Nasce quindi una generazione di deboli (oltre che di narcisisti): deboli di volontà, di autonomia, di reattività. Non in grado di governare e pertanto facilmente governabili o asservibili. Senza un pensiero proprio originale, sprovvisti di mezzi per difendersi, per nulla assertivi. Non cercano la verità, cercano la rassicurazione su tutto, evitando il minimo mutamento e il minimo sforzo. E diventano così ansiosi e insicuri, ma al riparo…dalla vita.
Rebecca Montagnino
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