LET IT BE….
L’altro giorno mentre mi allenavo pensavo che le nostre app ci geocalizzano più di quanto siamo geocalizzati con noi stessi: consapevoli di dove siamo ora emotivamente, consapevoli di dove vanno i nostri pensieri…sanno meglio di noi cosa stiamo facendo nel qui ed ora…
Non a caso sta aumentando il numero delle persone che praticano la mindful e progressivamente aumentano le ricerche che ne dimostrano i benefici sulla salute psicofisica. I risultati della pratica si sentono e si vedono però a lungo raggio, il che spiega una delle difficoltà dei neopraticanti. Siamo abituati infattinella nostra società e ormai da molti decenni, ad avere tutto e subito: i risultati e lo sforzo devono pagare subito, altrimenti ci annoiamo o tendiamo a mollare. Quello che non dà miglioramenti visibili all’istante crea perciò frustrazione, la tolleranza alla quale (es fare una semplice fila), si è abbassata parecchio negli anni. Non siamo inclini alla pazienza, a spostare nel tempo la soddisfazione dei nostri bisogni, l’imperativo è devo avere tutto e subito” e siccome non sopporto la frustrazione, se questo non avviene, è normale che provo collera o rinuncio. Quest’atteggiamento proviene dall’infanzia e risponde a quello che Freud definiva “principio del piacere. Con lo sviluppo impariamo a postcipare tali bisogni, sia imparando a tollerare la sensazione di frustrazione del bisogno, sia perchè gli altri che debbono soddisfarli non sempre sono disponibili. Nasce cosi il principio di realtà. Questo passaggio nel tempo si è spostato sempre più avanti nell’età, causando anche una diffcioltà di lettura e soprattutto di accettazione della realtà, che sappiamo essere anche essere frustrante. Invece che imparare ad affrontare l’impatto che ha su di noi, evitiamo situazioni che potrebbero richiamarla o le procrastiniamo nel tempo, o le mitighiamo attraverso espedienti di deconcentrazione dallo stato (es, guardare il telefono mentre si fa la fila). Un altro esempio è l’atteggiamento assai comune oggi di piegarsi alle frustrazioni dei bambini risolvendoli subito il problema, spesso per una difficoltà di tolleranza dei loro capricci degli stessi genitori, che non fa che aumentare la loro difficoltà di annoiarsi e la loro reazione di richiesta di cessazione della sensazione di disagio. Dilaga un imperante paura di perdere tempo, quando di tempo se ne perde molto di più in attività che cerchiamo di definire importanti, che hanno in realtà l’unico scopo di deconcentrarci dalle frustrazioni. La nostra società si è quindi evoluta poca propensa a tollerare, a coltivare la pazienza, ad agitarsi piuttosto se non vede nell’immediato una ricompensa. La mindful all’inizio è e sarà per questo difficilissima, non impossibile e uno dei suoi benefici sta proprio nell’ insegnarci a perseverare e a riscoprire l’arte della costanza e della perseveranza.
Ci accorgiamo da subito nella pratica di quanto la nostra mente sia davvero affollata di pensieri, di catene di pensieri, come chilometri di macchine in coda che sembrano non finire più e di cui non abbiamo nessun controllo. Molti credono o pretendono erroneamente che attraverso l’allenamento possono avere il dominio sui pensieri; la mindful insegna “solo” a saperli abbandonare. Ci aiuta a connetterci con il respiro che diventa l’ancora da cui lasciar andare i pensieri o le emozioni e a cui tornare. Ci insegna ad accettare di averne, è normale, non è pertanto una strategia di controllo come molti si aspettano, quanto una pratica di concentrazione o focalizzazione sul respiro.
Che poi concentrarsi sul respiro provochi sensazioni piacevoli di calma o serenità, è un effetto secondario, ma non succederà sempre, la mindful è anche l’ accettazione di quei momenti come del fatto che ci possono essere giornate in cui il nostro pensiero è più agitato del solito. Permettersi di provare emozioni disturbanti o pensieri giudicanti piuttosto che fastidiosi, è un passo per l’accettazione non solo dei nostri stati, ma anche di noi stessi. Sono infiniti i benefici della pratica come possiamo vedere dalla seguente immagine:
Spesso ci accaniamo nelle rimurginazioni, a cercare ciò che non ci piace, ripensiamo ad una brutta discussione, a qualcosa che ci ha infastidito, guardiamo sui social i post che contraddicono i nostri valori per poi sentirci “avvelenati”. Ecco se invece impariamo a lasciar andare, ad accogliere che non significa nè implica rassegnarsi, impariamo a non nutrire la mente ed il nostro corpo di ciò che lo intossica. Vale anche per il binge eating, ovvero le abbuffate compulsive, per le sigarette, le relazioni tossiche, piuttosto che combatterle nevroticamente, rafforzando ancora di più certi stati, li lasciamo andare consapevolmente. Dopo un pò se impariamo a gestire il disagio/frustrazione che questi stati ci generano, passa da sè.
Qui sotto un link su un articolo interessante, un famoso monaco buddhista oggi, spiega come grazie alla mindul è riuscito a cambiare la sua mente e a vivere meglio. Quindi se avete un pensiero che vi agita, a meno che vi stia indicando che è il caso di cambiare qualche situazione nella vostra vita o di prendere atto di qualcosa che vi è scomodo, se non è utile /funzionale …allora LET IT BE!
Rebecca Montagnino
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