LA VERTIGINE DEL NULLA

“La vertigine non è paura di cadere, ma paura di volare” Jovanotti
TORNARE A SCRIVERE.. In questi mesi di silenzio forzato, quando mi domandavo su cosa scrivere quando avrei ripreso il blog, la prima cosa era se continuare a scrivere. Ho dedicato anni su temi che ritenevo importanti e un pò come Eco (non a caso), trovavano poi grandi reazioni?
Aveva ancora senso dedicare il mio tempo e le mie energie al blog, era un bisogno solo mio quello di scuotere le coscienze e parlare di ciò che vedo e mi dilania; non sapevo più se mi sentivo di dover continuare a fare la mia parte, ascoltare l’urgenza che avevo, analizzare o provare a capire questo strano mondo in cui vaghiamo per gli altri. Non sapevo se avevo ancora la speranza di sensibilizzare, o provare almeno a farlo, su questioni che sembrano altrimenti rimanere impermeabili.
IL PRINCIPIO DEL NIRVAVA Rieccomi catturata in una delle infinite riflessioni, nata a seguito di una scoperta o riscoperta, di un principio freudiano che viene poco considerato. Se sono una fan del concetto di principio di realtà e di quello di piacere di cui ho spesso parlato, mi sono infatuata del principio del nirvana. Quando l’ho letto, oltre a rapire la mia attenzione e scuotere le viscere, questo concetto ha completato un puzzle che si andava delineando da tempo.
Con questo termine si definisce infatti la tendenza dell’apparato psichico di ridurre la quantità di eccitamento e di pulsioni che vengono a turbare il primitivo equilibrio energetico.
Questa teoria trovava spazio nel saggio di Freud”Al di là del principio del piacere” del 1920: lontano dal raggiungimento del Nirvana della filosofia buddhista, non indica uno stato di pace e di quiete interiore simile alla saggezza, quanto una riduzione e soppressione di energia. Ne deriva che non è solo quindi un allontanamento dalla paura o da quegli stati di vissuto ansiogeno e di attaccamento, ma di qualsiasi stato che squilibri l’omeostasi interna, una sorta di elettroencefalogramma piatto se vogliamo essere più brutali (o onesti). Se per gli orientali si associa alla trascendenza, per gli occidentali si associa ad un letargo o sonno mortifero, fenomeno spesso discusso in questo blog.
MENO EROS PIU THANATOS Immaginiamo che quest abbassamento di tensione possa essere utile in forme di difesa o a seguito di eventi stressanti, se però questa tranquillità/fuga dagli stimoli prende piede, c’è il rischio e mi pare che siamo nella fase successiva al rischio, che questa “tranquillità” divenga lo stato basico, in quanto si è attirati da quella che Freud definiva la pulsione di morte, una beatitudine del nulla, una ricerca della “ameba-ficazione” insomma. Una ricerca di nichilismo lontano da come lo vedeva Nietsche, perchè non ha rapporti con ideologie, è esattamente il rifiuto di ogni stimolo. Lontano anche dal concetto di vertigine del nulla pascoliano, è un azzeramento del sentire, del riflettere, uno spegnimento dell’essere vitale.
Il piacere non è più la soddisfazione di un desiderio, ma il vero godimento diviene l’ASSENZA del desiderio stesso o dell’Altro. Questo spiegherebbe l’epidemia di apatia a cui assistiamo, la fuga nelle sostanze o in altre forme di dipendenza che escludono l’Altro, liberando dal bisogno di qualcuno o di qualcosa. Il famoso stordimento/ galleggiamento di cui abbiamo varie volte discusso, simile ad una voglia di sordità emotiva e decompressione riflessiva diventa la massima ambizione.
STAR BENE NEL MALESSERE Recalcati definisce infatti i disturbi odierni come disturbi della mancanza della mancanza. L’individuo ha soppresso i desideri e con essi ha soppresso anche la capacità di sentire e quindi anche di percepire un malessere. Non solo si è abituato a questo stato, ma preferisce e sceglie restare in questo limbo, piuttosto che esporsi al mondo, al piacere, all’Altro, alla sua umanità come alla sua imperfezione, al conflitto, all’agire. Alla Vita insomma.
Ciò rende secondo lui, ma anche secondo me, il lavoro di noi psicologi molto più difficile di un tempo, perchè per aiutare le persone le dobbiamo motivare ad esporsi ed uscire fuori dalla loro beata confort zone. Dobbiamo continuamente motivarle a stare meglio, a far capire persino che non stanno bene, perchè spesso il loro problema non è consapevolizzato ed è spostato su altre questioni, attraverso un groviglio di sintomi, tanto da non vederlo più.
Lo stare meglio comporta un serie di azioni che richiedono coraggio di vivere, di uscir fuori dal limbo, piuttosto che lasciarsi vivere. Richiedono umiltà, quindi discesa dal piedistallo che il perfezionismo illude di raggiungere e perciò toccano la paura del giudizio altrui. Il limbo protegge invece, è come stare nell’incubatrice.
Chi ha scelto di lavorare nella relazione d’aiuto, si ritrova perciò inutile, con la sua dose di frustrazione davanti ad ore di resistenze. O ancora incastrato in un conflitto, perchè la spinta a star bene scatena una serie di opposizioni; una sorta di braccio di ferro tra l’impulso al cambiamento e quello del nulla, fino ad esser trascinato verso un senso di distruzione per aver messo a nudo l’aspetto umano e vulnerabile.
LA PASSIONE PER L’OMOLOGAZIONE L’individuo in questa società non aspira più alla crescita (costa fatica e mettersi in discussione), ma quasi ad un ritorno nel liquido amniotico. Lacan riprendeva questo discorso negli scritti sul capitalismo, sottolineando come tale stato portasse ad una morte della volontà, un impoverimento emotivo vicino al depressivo.
Una fotografia esatta perciò del mondo in cui abitiamo, dove l’insipido diviene piacevole; che sia culturale, artistico, ciò che viene fatto cerca sempre la compliance di tutti, senza offendere nessuno e perciò senza dire nulla di significativo, senza scuotere, far vibrare o destabilizzare. L’omologazione è dunque la risposta per non rischiare la disapprovazione.
L’altro giorno una ragazza mi parlava di quanto fosse assurdo prepararsi per uscire, dedicando del tempo, per poi realizzare come il look fosse identico tra le persone; per fare la differenza, si abolisce paradossalmente la differenza stessa e per essere accettati/integrati, si uccide l’originalità.
LA CULTURA DEL TRANQUILLO E’ come assistere e di fatto di frequente lo è (basta guardare il finale dei film nostrani in programmazione), ad uno spettacolo dove c’è sempre una catarsi risolutiva, dove invece di porci delle domande, cerchiamo solo risposte possibilmente rassicuranti e che magari siano anche poco faticose da capire. Deleghiamo a qualcuno, qualunque scelta, senza approfondire, per non perdere tempo e non usurare un cervello che diviene sempre più pigro e rattrappito, in un corpo sempre più governato da leggi esterne.

Il cuore come l’anima diviene ovviamente una cosa scomoda da gestire e semplicemente ci si disconnette. Si galleggia in questo stato di apatia con un senso di piacevole autocompiacimento e la stasi diviene il massimo dell’ambizione. Non è la pace e l’equilibrio quello di cui parliamo, per quanto la si voglia confondere, perchè la vita non è una linea piatta, ma al limite scale da cui si scende e a volte si sale. Non è quindi nemmeno realizzabile, di fatto è impossibile che nulla cambi domani, ma l’illusione di poter fuggire dalla responsabilità di essere vivo, attrae e per questo si procrastina a crescere
Se lo stato emotivo si è spento in realtà già da tempo, ora si sta mettendo off line anche il cervello, cosa rimarrà a breve dell’essere umano? Cosa accadrà quando l’intelligenza artificiale avrà sostituito ogni necessità? Quale prezzo sarà costato e chissà se si potrà mai riavere indietro quello che si è gettato con allucinante facilità…?
Quindi diffidate dal cercare il “tranquillo, il “tutto ok” , spesso non è una definizione reale di benessere, ma di lobotomia psicologica.
Non siamo fatti per non sognare, per non avere passioni, per aspirare al letargo duraturo, per uccidere le emozioni e il piacere di usare il cervello.
…E fu così che ripresi a scrivere.
Rebecca Montagnino
L’importante è non tradirsi (se si sa almeno ciò che si vuole). Io sarei invece soddisfatta che buona parte della popolazione cerchi un aiuto psicologico. Sono persone che vivono proprio oggi e che riconoscono una parte del loro star male, in fondo così lobotomizzati non son tutti, qualcuno qualche domanda se la fa anche se questo non rende il futuro meno incerto. Alcune passioni non sono fatte per cambiare il mondo, solo la vita di chi le vive se ci riesce. Te hai una grande fortuna che puoi condividere con pochissimi purtroppo, una passione che può cambiare molto.
Cosa penso io?
Troppe persone hanno perso la propria identità interiore.
Tutto è sfalsato da un perbenismo di facciata che col tempo logora loro e chi li circonda.
Mia modesta opinione chiaramente