La sindrome dell’impostore..
“Ma secondo te sono un impostore?” Nel corso degli anni mi è capitato spesso sentirmi porre questa domanda. In genere ho dedotto che chiederselo è sinonimo non di esserlo, quanto di temerlo.
Quando ho trovato quest’ articolo ho ritenuto potesse essere se non la Risposta, un utile spunto riflessivo. Inoltre e non è ininfluente, può sempre risultare pratico realizzare chi lo sia invece nei nostri confronti.
https://www.focus.it/comportamento/psicologia/sindrome-dell-impostore-definizione
COS’E’ UN IMPOSTORE? Una persona che si avvantaggia sull’altro con l’abituale ricorso alla falsità e alla menzogna. La parola deriva dal latino imponere = far credere…Quella dell’impostore è perciò una personalità che abusa dell’ingenuità o della altrui fiducia attraverso l’inganno, per trarne un personale vantaggio o per diffondere false informazioni mostrando di sapere più di quel che sa realmente.
Come vedremo c’è differenza tra quella definita sindrome dell’impostore in psicologia, attribuibile al timore di occupare un posto non meritato, quanto l’esserlo davvero. Nel secondo caso è chiara la consapevolezza e l’intenzione di usare presunte doti o competenze, per creare frodi morali o materiali a proprio vantaggio.
IL TALENTO E L’IMPOSTURA. Nell’articolo sopracitato si fa riferimento a chi ha paura di esserlo e difficilmente corrisponde a chi lo è davvero. Costui infatti contrariamente all’ ostentata sicurezza del vero impostore, si sente sempre meno preparato o competente in diverse situazioni. Vive di conseguenza con un perenne senso di non essere meritevole di ammirazione da parte degli altri ;come se questi altri dovessero scoprire da un momento all’altro la sua inadeguatezza.
Nella società dell’Io perfomante dove gli standard sono sempre più alti e basati solamente sull’efficacia o sulla perfezione, è una conseguenza abbastanza inevitabile. La competizione- valore a cui sono sottoposte le persone performanti- il continuo confronto nei social e il confronto usato nel mondo del lavoro per accrescere la produttività, lasciano un senso di vuoto. Il must interiore corrisponde a : IO ESISTO SOLO QUANDO DIMOSTRO DI ESSERE ALL’ALTEZZA. E il quando diviene un sempre: mai essere colti impreparati.! Così dilaga l’ansia, la condizionante schiavitù di non essere mai sufficientemente all’altezza quanto il timore di smettere di esserlo tra un attimo.
In genere il problema si lega molto al bisogno di accettazione, dove non è tanto la mancanza di competenze o credenziali valide che fa tremare, quanto la pressione di dovere sempre dimostrare qualcosa. Agli altri “forse”, a sè stessi di certo.
Quello che si crea è dunque uno stato di stress e un conseguente circolo vizioso, per cui la sensazione di precarietà delle proprie prestazioni, è in agguato costantemente. E’ come vivere con un’eterna sirena di allarme in testa. Alla base, che fa leva ovviamente su tale stato, c’è un profondo senso di insicurezza e un’autostima fragile, dipendente dal giudizio e dal riconoscimento esterno.
Persino il talento, viene vissuto come un dono immeritato, la cui facilità di conquista lascia aperta la domanda se ci si può gloriare per qualcosa, senza averne prima faticato a sufficienza. Un senso di “chi sono io per meritare questo” sottende inoltre la paura e la responsabilità di dover continuare a tenere lo stesso standard dopo. “Ne sarò all’altezza d’ora in avanti?” Un pò come una band che a seguito del primo album di successo, si chiede se possiede davvero le capacità per farne altri allo stesso livello. E se prendiamo a metafora cosa accade nel mondo discografico, capiamo come la pressione interna ed esterna giochi un ruolo estenuante.
L’IMPOSTORE E LA MANIPOLAZIONE. Se il suddetto tipo di impostore si avvicina all’ingenuo modello del falso modesto o di chi è impaurito del giudizio dell’altro, esiste l’altra faccia della medaglia. The dark side of the moon insomma, quello che sa invece di non possedere titoli, competenze, diritto, ma sa abilmente farsi passare “per”… In questo caso il senso di impostore, deriva da una presunzione immotivata e infondata sulle proprie capacità.
C’è una volontà attiva e mirata a far credere qualcosa che non corrisponde a verità, nel tentativo di trarre vantaggio dall’altro o dalla circostanza; vantaggi che possono andare dal semplice creare di sè un’immagine affabile e seduttiva, come guadagnare qualcosa di materiale dall’altro usurpando la sua fiducia, presentandosi in modo da rispecchiare perfettamente le sue attese per poi manipolarlo, mistificando in qualche modo la realtà.
In questo caso è l‘intenzione che fa la differenza, perchè come ogni forma di manipolazione ci sono due elementi che la contraddistinguono: il fatto che si usino determinati comportamenti per trarre un beneficio personale e il farlo senza che l’altro lo sappia, approfittando quindi della sua ingenuità. In questo senso l’impostore è anche semplicemente il venditore di fumo (o di illusioni), qualcuno che si appropria di un ruolo e di conoscenze anche solo allo scopo di gloriarsi, affascinare, per un suo bisogno di ammirazione agli occhi dell’altro, per sentire il piacere di suscitare meraviglia. Non a caso il comportamento si lega alla sindrome del bugiardo patologico o ingannatore seriale. Talvolta abbellendo la realtà, altre drammatizzandola, sempre con l’intento di creare un effetto sorpresa o per guadagnare qualcosa per sè.
Chiaramente questo denota un certo piacere nell’imbrogliare, ma anche la presenza di un senso di inferiorità, che provoca la necessità di romanzare o deformare la propria persona, senza cui l’impostore sentirebbe di essere invisibile.
Suppongo che la figura e il comportamento dell’impostore esista dalle notte dei tempi, ma quanto può essersi moltiplicato questo tratto nell’era sociologicamente definita narcisistica, dove si indossano continuamente maschere e dove il giudizio dell’altro conta più della propria identità?
Rebecca Montagnino
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