Invidia, narcisismo … e social
Nel 1979 Cristopher Lasch pubblicava La cultura del narcisismo, in cui affermava che l’uso eccessivo di apparecchi elettronici favoriva un interesse per l’immagine a discapito dell’essenza dell’individuo. Già allora la pubblicità e i film mostravano la bellezza e la ricchezza come forma di perfezione umana, tutti aspetti che avrebbero incrementato lo sviluppo epidemico del narcisismo. Dopo qualche anno era Alexander Lowen a pubblicare il primo vero libro Il narcisismo- L’identità rinnegata, in cui il disturbo psicologico veniva associato ad un disturbo sociale. Nel 2009 Twenge e Campbell pubblicavano L’epidemia del narcisismo, da cui derivava il nascente concetto di narcisismo generazionale, poi ripreso nel 2014 dalla Twenge con Me generation: una generazione, quella nata negli anni ’80, che condivideva valori e principi, tra cui uno molto pericoloso: tutto mi è dovuto. Educati purtroppo come esseri speciali e intoccabili dalle loro famiglie (definite dall’autrice, per l’iperindulgenza e senso di protezione verso i figli, helicopter parenting), questi giovani aspiravano, una volta usciti di casa, a ritrovare lo stesso stato di accoglienza, per cui fama e successo non solo erano dovuti, ma dovevano essere raggiunti senza alcun sacrificio o fatica. La generazione dei millenial è stata poi nutrita di like sui social, alimento ormai necessario per la soddisfazione del loro ego. Non si tratta di accrescere la propria autostima, anche perchè incredibile ma vero, queste generazioni ne sono prive, quanto di abbellire un Io ipertrofico con una certa facilità.
Così mentre l’autostima scende verticosamente, sale la fame per l’apparenza; così mentre on line sembra che la vita reale sia a portata di un click, lo scontro con la vita concreta rende altamente vulnerabili e predisposti al fallimento. Se da piccoli facevano capricci per ottenere ciò che volevano, il loro atteggiamento non cambia con l’età adulta, per cui la facilità al lamentarsi (bassa tolleranza alla frustrazione) e il bisogno di ottenere tutto e subito, semplicemente si sposta su esigenze diverse.
Ancora la presenza dei selfie diviene un imperativo con tanto di ritocchi con Photoshop; questa generazione viene fotografata ancora prima della nascita. Non è raro infatti trovare video e foto dell’ecografia dei primi mesi di vita intrauterina sui social, per non parlare poi di quello che avviene con la nascita o in qualsiasi evento normale che viene ripreso dai genitori e spettacolarizzato Basta assistere al più semplice saggio di danza o festa di compleanno per comprenderne il fenomeno.
Così l’avvento dei followers, il cui numero oggi segna il potere personale più di quanto lo facciano fama e denaro, si arriva alla creazione di nuove figure come gli influencer, che dovrebbero essere persone professionalmente preparate a indirizzare i gusti delle persone su valori e stili di vita (sulla loro preparazione professionale pavento qualche dubbio, sui valori che trasmettono ancora di più…).
L’arrivo dei social, specie di Facebook, Instagram, Snapchat ha quindi favorito l’attivarsi di condotte narcisistiche; ogni cosa viene pubblicata e vista, grazie ad un pubblico a cui rivolgersi, il che basta già di suo per costruire una situazione in cui il riflesso di Sè diviene estremizzato. Occorre apparire e postare sempre e tutto ciò che si fa; mostrare così agli altri quale vita fortunata e di successo conduciamo, sacrificando l’autenticità e l’intimità pur di avere consenso e portando perciò a modificare il proprio Io e le proprie esperienze. Ciò che conta oggi è la caccia e la ricezione dei like.
La mancanza di pause dovute alle incessanti connessioni e comunicazioni dove si continua a spettacolarizzare la propria vita, sottrae sempre più tempo alla riflessione su se stessi. Le persone anche quando sono con gli altri sono altrove, sono sulla loro piattaforma di vita alterata, tanto che si cominciano a notare segni di profonda difficoltà a conoscersi fuori dalle connessioni ed è abbastanza naturale ipotizzare che tra qualche decennio, le capacità relazionali dal vivo saranno appannaggio di pochi.
Mi viene in mente un film, Her, dove il protagonista, il sempre eccellente Joaquin Phoenix si innamora del suo sistema operativo, con cui è connesso in ogni momento del giorno. Pur non essendo umano il sistema è in grado di soddisfare ovviamente tutti i suoi bisogni; il sistema è sempre disponibile, mai arrabbiato, è sempre accogliente ed empatico. Rappresenta un amore ideale perchè in grado di rispondere in ogni istante alle necessità narcisistiche del protagonista. Alla fine del film si vede una folla di gente che comunica con il suo sistema, incurante delle persone reali che le sta attorno.
In questa vetrina perciò è facile lasciarsi sedurre dal benessere, sebbene creato in modo artificioso, mostrato dai profili dei nostri amici. La comparazione costante con “chi sta meglio”, nonostante sia finta spesso e volentieri, crea un senso di invidia profonda. Invidia di cui poi purtroppo ci si alimenta, tanto da creare una dipendenza dalla visione delle notifiche dei social. Questo sentimento da sempre esistito non è un caso che sia ancora più presente oggi: ma il malessere attuale non sta tanto nel desiderare di avere ciò che gli altri sembrano avere di diverso o di più da noi, quanto per la semplice sofferenza che loro ce l’hanno. Questo senso di frustrazione si converte quindi in sentimenti di rabbia e ostilità che stanno inquinando le relazioni anche reali, dove sembra che bisogna sempre soppesare quello che gli altri hanno, con quello che abbiamo noi, per non cadere mai in un deficit. Non è sana ammirazione, ma una voglia costante di prevalere e di competere, che porta per forza di cose, a falsare personalità e situazioni di vita. Non nasce da questo nemmeno una sana motivazione a darsi da fare per ottenere di più, ciò che si prova rimane e finisce nella frustrazione e nel bisogno poi di decomporre l’immagine altrui.
Domina l’invidia nella percezione dei social, in un momento in cui il rancore sociale è già ad alti livelli. La brevità quindi con cui si passa a sentimenti di odio e di rancore diviene una conseguenza quasi inevitabile. Laddove ognuno si mostra bello, impeccabile, interessante, al massimo delle potenzialità, la sensazione di non essere mai abbastanza e la necessità di confrontarsi incessantemente fornisce una facile trappola. Sebbene in fondo tutti siano coscienti di quanto i social e la comunicazione on line, siano una mistificazione della realtà, sbirciare la vita degli altri per tutto il tempo, senza che intervenga un minimo di spirito critico, provoca un senso di inadeguatezza profondo. Pur sapendo quanto ciò che appare sui social sia finto, la gente ci crede e ci cade lo stesso. Ma se non ci fosse questo confronto così pressante, si continuerebbe a desiderare le stesse cose? I social in questo senso creano bisogni che prima non avevamo, a forza di guardare la vita degli altri, aumentano i desideri e sale il rancore per non avere altrettanto. Come a dire, ma come facevamo un tempo a sapere se occorreva portare con sè l’ombrello senza meteo.it?
Allo stesso modo la richiesta di esprimere giudizi sta aumentando inconsciamente la tendenza a giudicare, senza che ci sia una reale volontà a farlo, solo per un riflesso condizionato. Come sempre è l’uso dei social e del web che segna la differenza; un uso consapevole come la conoscenza delle trappole in cui è facile cadere, sarebbe già un modo per preservarsi da situazioni frustranti piuttosto evitabili.
Conviene perciò considerare in modo serio le cattive abitudini che senza volere apprendiamo dal web, ricordando che quello che si posta on line è solo un frammento, una porzione di vita, è come entrare in un film: nessuno si sognerebbe in questo caso, di affermare che due ore bastano a descrivere un’intera esistenza.
Rebecca Montagnino
https://assodigitale.it/news/social-media/social-media-invidih
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