INCOMPETENZE COMUNICATIVE
“Se avete modo di osservare la persona con cui state comunicando, otterrete sempre una risposta prima che questa vi venga espressa verbalmente” -Richard Bandler
Oggi si comunica costantemente, se ne abbonda, eppure le competenze comunicative diminuiscono. C’è una tendenza ad alzare la voce, a creare maggiori followers, mentre i contenuti si impoveriscono. Stiamo mischiando cose tanto per dire, da cose che sentiamo il bisogno di dire e in questa babele le incomprensioni zampillano. Se avere competenze comunicative è l’unione di parole scelte e un modo scelto di dirle, quanto di capacità di ascolto, quali sono le incompetenze?
Abbiamo visto nel post precedente, nel video di Inside out, che saper ascoltare è un’arte, soprattutto empaticamente: mettersi nei panni dell’altro per condividere è la più grande forma di aiuto. Chiaramente se già questa competenza è difficile di per sè (la notizia buona è che si può migliorarla), nell’era dei nativi digitali rischia di cadere totalmente in disuso. Molte sono le persone che iniziano ad accusare disagio nell’iniziare una comunicazione, quanto nell’approcciarsi agli altri fisicamente, perchè è da troppo tempo abituata a gestire la comunicazione sul web. Tale fenomeno genera così un paradosso: se la comprensione nella comunicazione viene facilitata in genere dal linguaggio non verbale, del tutto assente invece on line- significa quindi, considerato il tempo dedicato alla comunicazione tecnologica, che ci capiamo meglio se non ci guardiamo negli occhi o se non ascoltiamo il tono di voce? La risposta mi sembra piuttosto evidente.
Ma non è solo un problema di ascolto/comprensione, è un problema molto più elementare. Se è vero che in passato siamo stati un popolo esperto della parola, oggi non lo siamo più ed usiamo parole senza pensare al loro significato, nè tanto meno alle loro conseguenze, sapendo come le parole possono guarire o ferire (mi viene in mente la campagna di sensibilizzazione sul cyberbullismo che stanno facendo in questo periodo alla radio). E mentre tra le persone svanisce la capacità di dialogo, aumentano corsi brevi, corsi di laurea, seminari, libri per ri-apprendere le basi della comunicazione. Perchè come spesso ripetuto, è dalla comunicazione che si definisce la compattezza di un rapporto, di qualsiasi natura esso sia. Innanzitutto se osserviamo attentamente, molto spesso c’è una difficoltà, anche crescente, di discernere la propria opinione da una visione più universale, cioè quella di creare un concetto argomentabile in cui ognuno possa specchiarsi. “La mappa non è il territorio”, citava sacrosantamente il primo assunto di PNL. Quando parliamo cioè diamo per scontato che la nostra visione nata dalla nostra limitata esperienza, sia invece universale. Questo perchè ovviamente la comunicazione è viziata fisiologicamente di egocentrismo e autoreferenzialità (soprattutto nell’era del narcisismo), senza che se ne sia consapevoli, quanto di poco approfondimento e confronto delle proprie idee. Si parla sovente senza conoscere bene la tematica, di frequente per averne letto due righe di notifica su qualche profilo di amico on line. La speed information, che ha sostituito la lettura di libri viene ingurgitata senza sforzarsi di riflettere, compromettendo così la logicità di idee, fatte passare per riflessioni profonde, che sul web si propagano velocemente e in modo virale. Manca un apprendimento teso a sviluppare uno spirito critico di più ampio respiro, facendo si che dilaghi perciò molta banalità. La riduzione dell’esperienza di vita inoltre finisce con impoverire le menti, i pensieri ed il linguaggio (le nostre parole esprimono il nostro pensiero) come ultima conseguenza.
Ancora..esiste sempre più un piano di disparità nella comunicazione. Si può osservare dai tempi che si prendono gli interlocutori; alcune persone affette da eccessiva autoreferenzialità, nel senso che analizzano il mondo solo dal punto di vista proprio, non sapendo spostarsi in angolazioni diverse, sono affetti da logorrea; prendono uno spazio eccessivo, senza notare che non stanno monologando a teatro e schiacciano così anche la voglia di replica. Il parlare molto è anche un indice di razionalizzazione, pertanto può diventare un meccanismo di difesa senza che il soggetto ne sia consapevole. Il bombardamento di parole incessante infatti tiene lontano l’altro dall’avvicinarsi a contenuti che potrebbero essere minacciosamente emotivi.
Il problema dei tempi si osserva anche in situazioni in cui sembra che le persone non sappiano bene quando devono intervenire, come se temessero di perdere il loro turno. L’ascolto come cita Chuck Palahniuk diviene perciò solo un’attesa per il proprio turno, per poter irrompere, senza aver ascoltato, nè tanto meno compreso. L’intento è essere pronti a prendere parola ( e potere)… appena l’altro cali nel suo parlare. Non mi ricordo infatti chi diceva che ascoltare qualcuno è anche imparare qualcosa di nuovo, in quanto entriamo in universo più esteso e… intanto ci scolliamo dal nostro.
Ancora la comunicazione è viziata, tanto più conta l’apparenza e il giudizio altrui, da stereotipi che rappresentano da un lato lo scarso sforzo di approfondire e dire qualcosa di originale e dalla paura, dall’altra, che dicendolo, si possa correre il rischio di esporsi e di non essere approvati. Comunicare non è un’arte, è un bisogno prima di tutto. Un tempo sentivo dire mi sono innamorato di quella persona, perchè ci parlo di tutto e ci parlo bene. Oggi la comunicazione è: mi ha scritto, ha reagito ad una mia storia…Se ci accontentiamo di queste briciole di non comunicazione, è normale che non conosciamo mai le persone veramente. E poi ci si domanda come fidarsi di qualcuno!
A proposito invece del – Ci vediamo….non c’è verbo più usato e più inappropriato per definire lo spazio ed il tempo nella relazione. Primo perchè ci si vede più spesso on line di quanto avvenga nella realtà, secondo perchè se pensiamo che molte delle nostre comunicazioni avvengono in macchina (dove non ci si guarda), davanti alla tv (dove si guarda lo schermo), sul divano davanti alla tv o al proprio schermo del tablet, ci accorgiamo che stiamo seduti vicini senza guardarci. Ci parliamo escludendo il contatto visivo, che non solo rimane-nonostante l’era digitale- ancora lo specchio dell’anima, ma anche uno dei punti fondamentali del linguaggio non verbale, ovvero uno strumento essenziale della comunicazione.
Talvolta analizzo e rifletto come reagiscono persone di spettacolo di fronte alle interviste: in alcune sembrano essere persone altezzose e fredde, in altre sono generose. Analizzando il genere e la modalità delle domande, scopro che nel primo caso, spesso sono banali, intrusive, nel secondo si sente lo sforzo dell’intervistatore per mettere la persona a suo agio e cercare argomenti che la possano stimolare…In fondo è quello che succede ad ogni essere umano: se viene messo a suo agio, guardato negli occhi con interesse, sforzandoci di entrare davvero nel suo mondo e di esserne stimolati, ognuno può recuperare le proprie competenze comunicative
Rebecca Montagnino
Grazie per le opportunità di riflettere , tendiamo sempre all’ io dovremmo imparare a “guardare “di più la persona o le persone che abbiamo di fronte . E’ sempre bello leggerti
Grazie…vero il guardarsi sta diventando obsoleto e sottovalutato