I no che potrebbero far crescere
Ho letto qualche mese fa, con un gran senso di rimorso per aver aspettato tanto, “I no che aiutano a crescere ” di Asha Philips . Libro cult, intelligente e illuminante che in molti dovrebbero leggere, sia in veste genitoriale che di figli. E’ un inno all’autonomia, nonchè un aiuto prezioso per chiunque si trovi ad educare bambini, specie in questa, che a livello pedagogico, è l’era dell’eccessivo protezionismo. Genitori che non rimproverano i loro figli pensando che la comprensione equivalga al permissivismo, insegnanti che di conseguenza non osano più riprendere gli alunni per timore delle eventuali ripercussioni, un sistema educativo che crea programmi di apprendimento facilitati, più brevi, più lenti. Uno stato che contribuisce a lasciare gli adolescenti e i giovani adulti nella loro bambagia, fino ad arrivare a “spazi di sicurezza” nelle principali università americane (J.Twenge , Iperconnessi). In questi spazi nati per creare confronto e contenimento in casi di problemi psicologici, ora gli studenti si ritrovano per essere confortati e consolati quando un docente esprime un’opinione diversa dalla loro o quando sono “destabilizzati” da frasi dette in qualche conferenza. Come se fosse normale che un giovane maggiorenne abbia questa sorta di iperfragilità tale da renderlo vulnerabile alle parole e non abbia invece bisogno di confrontarsi proprio con chi la pensa diversamente. Così non facciamo altro che far diminuire ancora di più la sua già bassa tolleranza alla frustrazione, quanto la sua incapacità di gestire situazioni normali ma vissute da lui come difficili. Come si afferma nel libro della Philips “I genitori attraverso le loro indulgenze non li aiutano a sviluppare una forza fisica (nè tanto meno psicologica ed emotiva). I bambini vengono privati dell’esperienza di sviluppare le loro capacità e al contempo di capire quando devono chiedere aiuto (in quanto vengono anticipati costantemente o addirittura i genitori risolvono problemi al posto loro). I bambini quindi strillano una richiesta/urgenza che viene subito soddisfatta. Questo non li aiuta nemmeno a provare gratitudine. Dicendo no, i genitori permettono ai figli di capire quello che riescono a fare da soli ( a stabilire quindi i loro limiti), o che fanno per loro sforzi che costano fatica. I bambini quindi, quando non incontrano confini, rischiano di diventare dispotici e di pretendere di ricevere tutto, sempre e subito.
Con il tempo questo contribuisce a sviluppare nei figli un senso di onnipotenza, senza renderli purtroppo indipendenti. Sembra che la fase intermedia in cui si prova attraverso tentativi e si arriva ad un risultato attraverso prove ed errori, sia intollerabile sia per i genitori che per i figli, mentre le due uniche risposte conosciute sono il fallimento o il successo. Quella fase intermedia è preziosa; non è altro infatti che l’apprendimento e richiede pazienza, determinazione, impegno ed umiltà.
Bisogna saper riconoscere di non sapere qualcosa per imparare e saper chiedere aiuto. Sempre la Philips, “Molti bambini ed adolescenti vivono in uno stato di falsa indipendenza e pseudomaturità e hanno grande difficoltà ad apprendere dagli insegnanti come trarre beneficio dalle attenzioni di chi si occupa di loro. Dire di no è un modo di comunicare che siete un essere distinto e ad insegnare anche a loro che lo sono.”
Soddisfare ogni desiderio e bisogno del bambino per dargli piacere e risparmiargli sofferenza e fatica, finisce con il creare infelicità e ed eterna dipendenza. Gli attiva una difficoltà enorme nel costruire e mantenere legami con altri che hanno a loro volta bisogni e desideri propri.
Molto spesso questo nasce da un bisogno dei genitori di essere perfetti ed amati, cosa impossibile e controproducente; il mondo non funziona così e prima i bambini imparano ad affrontare disagi e frustrazioni, più riusciranno a vivere in modo autonomo da grandi. Devono provare la frustrazione di un no anche per sviluppare alternative, devono annoiarsi per diventare creativi. A causa di quest’eccesso di protezionismo si è arrivati a privarli di un elemento cruciale per la crescita e la vita, ovvero l’esperienza. A volte mi impressiono di come tanti giovani adulti siano realmente e profondamente privi di esperienze di vita, si sentano intimoriti per poco e abbiano un disagio a stare al mondo. I genitori offrendo la loro esperienza e i loro rimedi, dimenticano che i figli sono individui a sè, non sono “loro” e non permettono in tal modo che trovino rimedi personali. Non sanno tollerare l’attesa piuttosto che la frustrazione e di conseguenza i bambini li rispecchiano non sapendo sviluppare la pazienza.
La difficoltà di dire no dei genitori inoltre fa emergere secondo me un altro punto molto importante: il loro medesimo malessere con la disciplina e l’assertività. Molte ricerche hanno dimostrato la presenza del tratto passivo negli adulti che avevano incontrato un problema a disciplinare i figli. Avevano poche risorse nel sapersi direzionare o educare per raggiungere un obiettivo o semplicemente non sapevano darsi dei no attraverso la loro volontà, così come provavano un enorme disagio ai no che li venivano detti. I genitori che correvano subito verso la culla o si sentivano male quando i loro figli piangevano, spesso non sapevano gestire la propria sofferenza. Dalle ricerche chi era assertivo o aveva imparato a gestirsi invece, trovava più naturale dare dei no ai figli, mettere loro delle regole senza agitazione o ansia.
Come i bambini che vengono sempre presi in braccio appena piangono o che vengono consolati al minimo sconforto, o che trovano appagamento al loro primo capriccio, gli adolescenti crescono sentendo il diritto e la necessità che ci sia ancora e sempre qualcuno che li proteggerà o risolverà loro la vita. Non sanno usare il problem solving e trovare quindi alternative quando stanno male. Il loro focus è esterno (“quello che mi succede dipende dagli altri”). Prendiamo ad esempio il cibo. Molte mamme danno il seno appena il bambino piange, il bambino impara che il cibo soddisfa non solo la fame, ma anche un disagio emotivo nell’immediatezza. Con molte probabilità questo meccanismo di ricompensa sarà adottato anche dopo; questo in fondo è già ben visibile considerati sia i molteplici disturbi dell’alimentazione, sia le campagne di sensibilizzazione a causa della cattiva condotta con cui ci alimentiamo. Questo comportamento ovviamente non ha un’attivazione consapevole, può nascere anche da un senso di insicurezza materno ( che viene comunque percepito dal piccolo): vedendo il bambino piangere, la madre sente di dover fare qualcosa nell’immediato per cambiare la situazione affinchè smetta.
So bene che tanti genitori agiscono in buona fede, non hanno di certo l’intenzione di creare un disadattamento futuro nel figlio, eppure anche quando ricevono l’informazione, non sempre sanno fermarsi. Sembra che la loro necessità di accudire vada ben oltre le conseguenze sui figli o forse resta loro difficile credere che amare troppo o accudire troppo è sempre un problema poi.
Presi da questo bisogno devono agire, non a caso poi i figli si riempiono la vita di cose da fare per non pensare o sentire, lo hanno praticamente appreso.
Ricordiamo quanto l’esperienza dell’autonomia sia un esperienza di piacere per un bambino: un bambino sorride quando finalmente riesce a fare qualcosa da solo o quando trova un ‘ alternativa difronte ad un ostacolo. Un bambino turbolento spesso si calma quando impara a camminare, a mangiare da solo, prova soddisfazione e così crea la sua autostima. Senza sforzi nessuno di noi è mai veramente motivato.
Oggi tutto ruota attorno alla vita dei figli, si esce quando hanno fatti i compiti, si passa il week end a portarli a feste, si fanno solo attività che piacciono a loro (ricordiamo che questa viene definita non a caso la Me Generation). Così i bambini sviluppano l’idea che il mondo deve soddisfarli sempre e questo si aspettano, finchè i genitori riconoscono l’impossibilità di farli vivere eternamente in questo mondo fatto di illusioni e di aspettative esagerate. Quando si sveglieranno potranno perciò solo cercare di tornare indietro regredendo, per questo restano “piccoli” e hanno bisogno di uno svezzamento tardivo pur essendo già adulti. La conseguenza è che presentano una serie infinita di disagi psicologici, anche molto acuti e una fragilità incomprensibile considerata la loro età. Non vogliono crescere o hanno paura di farlo, invece di sentirsi felici di uscire di casa, ne sono intimoriti. All’ avventura consona per la loro età, preferiscono la sicurezza. E forse i genitori pensano che questo sia anche per loro un modo più facile per controllarli, non capendo che inibiscono una parte necessaria alla loro crescita
Insegnare loro che esistono limiti, regole, ostacoli altri bisogni, altre persone, è già un modo per prepararli alla cura delle relazioni e al rispetto per gli altri. Spronarli a spingersi nel mondo, a distaccarsi anche, a prendere da soli decisioni e responsabilità è un grande aiuto per renderli autonomi. In fondo lo scopo dell’educazione altro non è che quello di far crescere, fisicamente e soprattutto psicologicamente chi è fragile, insegnandogli a cavarsela da solo.
Rebecca Montagnino
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