GIUDIZIO DEGLI ALTRI _ VS _ AUTONOMIA
Ho sempre pensato che il fatto di avere una doppia nazionalità, nel mio caso italo-francese, fosse una gran fortuna. Oltre a parlare due lingue sono cresciuta tra due culture, cosa che mi ha aiutato a capire che ci sono tanti modi diversi di vedere le cose, senza che per forza uno sia meglio dell’altro. Soprattutto mi ha lasciato confrontare diversi modi di essere e di intendere la vita.
Questi giorni ricordavo di come da adolescente, durante le feste natalizie, avevo occasione di stare con i miei parenti e mi sorprendevo del modo in cui quelli francesi ascoltassero le mie opinioni, contrariamente a come invece qui, spesso non ricevessi attenzione o considerazione solo per il fatto di essere giovane. Credo che una grande differenza tra le due culture stia proprio nel’educazione molto più responsabilizzante nei confronti dei figli. C’è meno conformismo nelle relazioni, per cui le tue idee, i tuoi valori pur se diversi da quelli con cui ti hanno cresciuto,vengono accolti con la giusta considerazione. Questo non solo ti dà maggiore sicurezza nell’esprimerti, ma ti insegna ad avere fiducia in quello che sei. C’è una frase di Voltaire che adoro, me la ripeteva spesso mia madre, la cui traduzione più o meno suona così: non condivido le vostre idee, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto ad affermarle. Che nella mia testa equivale alla parola libertà.
Quello a cui sto assistendo nel mio lavoro è proprio questa forma di soggezione quasi timorosa ad asserire la propria personalità quando stona con il copione famigliare. In Italia ci sono due mali che affliggono i rapporti famigliari, l’eccessivo invischiamento per cui ad esempio il nostro è il paese europeo in cui i genitori che comprano casa ai figli, quelli che ancora possono permettersela ovviamente, la comprano spesso nelle immediate vicinanze di quella parentale, ovvero un piano sotto, un piano sopra, o lo stesso pianerottolo, o al limite una zona vicina (meno di un chilometro). Questo crea al già carente differenziamento dal proprio nucleo, un invischiamento che si protrae nel tempo. Non che i condizionamenti si spezzino solo con il prendersi casa per conto proprio, perchè quando sono ben radicati ci perseguitano pure sulla Luna, semplicemente quello della casa è un esempio di come i rapporti tra genitori e figli nel nostro paese, siano strutturati più da un senso comune di essere “incollati” gli uni agli altri, che da un senso di rispetto e di condivisione.
Quando viaggio mi sorprendo sempre di come tali rapporti all’estero si basano più sulla voglia di fare le cose insieme, che per consuetudine o “dovere”. Vedo spesso figli uscire con i genitori con cui si dedicano ad attività, che qui si fanno solo con gli amici, come andare ad un pub, al cinema, a vedere uno spettacolo. Esiste una differenza fondamentale tra consanguineità e affinità, per cui dalla prima ci attendiamo una comprensione assoluta e dovuta, solo per il fatto di essere dello stesso sangue; ma quella sintonia è proprio all’interno della famiglia che a volte non la ritroviamo e cerchiamo invece l’affinità intesa come condivisione di valori e progetti comuni con gli altri, al di fuori delle mura domestiche. Probabilmente uscendo dagli stereotipi famigliari, i consanguinei potrebbero fare molte più cose insieme, oltre ai lunghissimi pranzi e si sentirebbero maggiormente vicini e compresi, conosciuti e riconosciuti nel condividere pensieri, interessi e passioni.
Il secondo grande problema è il giudizio degli altri, come fu descritto amaramente ma anche in modo realistico nello splendido documentario “Videocracy” del regista danese Erik Gandini, per cui esiste un bisogno delirante di salvaguardare, prima ancora del proprio benessere, un atteggiamento perbenista . Si tenta di mostrare all’esterno sempre una facciata buona, rispettabile, esente dalle critiche. Molti vivono quest ipocrisia con cordialità, ma con grande sofferenza, vivono intrappolati in un codice di comportamenti atti a dare sempre un’immagine perfetta di se stessi e di conseguenza, della propria coppia e della propria famiglia. I figli vengono osannati facilmente alle orecchie di vicini e parenti, come testimonianza della bravura genitoriale, senza magari mettere in discussione o affrontare quello che non va anche quando è evidente, quando fa male. Il bisogno di approvazione spasmodico dei figli in fondo, nasce dallo stesso bisogno dei genitori di essere approvati nella loro capacità educativa, persino quando provano a punirli. I legami diventano così un bisogno narcisistico di ricerca di accettazione incondizionata da ambo le parti.
C’è un in entrambi i mali un punto di coesione, che è la mancanza di fiducia, dei figli in se stessi in primis, perchè se non possono individualizzarsi, (non intendo diventare individualisti come accade invece se lodati eccessivamente e banalmente), non possono crescere. La mancanza di fiducia, che è fonte ricordiamo di una base sicura da cui muoversi verso il mondo, spesso può sfociare in una ricerca infinita di riconoscimento; in tal modo piuttosto di renderli adulti, questo tipo di educazione raggiunge lo scopo contrario, quello di spingere i figli di essere quei bravi figli che soddisfano appieno le aspettative dei genitori . Invece di spostare la crescita personale sull’ io adulto, regredisce e si stabilizza sull’io bambino. Se un genitore non si fida delle scelte dei figli che possono essere diverse, ma non per questo sbagliate, se non le accetta come si accetta un figlio come qualcosa che non gli appartiene, in quanto individuo a sè, tanto per citare Gibran, come possono i figli avere fiducia in se stessi, nelle loro opinioni, nei loro valori, nelle loro scelte? Crescono insicuri e timorosi di fallire, si perdono nella perenne ricerca della “scelta giusta”. Giusta per chi?
Inoltre l’eccessiva gratitudine per il fatto che hanno ricevuto tutto dalle famiglie, li impigrisce di trovare altro, di ribellarsi, come dovrebbe invece avvenire, in quanto fase di un processo fisiologico naturale. Se non imparano che il coraggio non è l’assenza di paura, ma la forza di affrontarla, avranno sempre paura di affrontare il mondo e quindi la vita. (citazione di William Wallace, “Braveheart” ).
Non ribellandosi, non si indignano, non difendono la loro personalità ….a volte vedo bambini grandi andare ancora in passeggini piccoli e la metafora con la crescita psicologica mi sorge spontanea, mi domando: se qualcuno mi portasse tutti i giorni su una carrozza, avrei ancora voglia di camminare e faticare?
I genitori di oggi si sentono emancipati perchè danno la possibilità ai figli di aprire una pagina Facebook, o perchè sono accondiscendenti nel permettere loro di vivere le relazioni affettive all’interno della casa genitoriale, ma in ognuna di queste apparenti conquiste di libertà si cela lo spettro del controllo; il messaggio diventa quindi “sei libero ma ti controllo”, non c’è responsabilità, non c’è crescita, non c’è la capacità di sbagliare o di risolvere i problemi da soli, da parte dei figli.
Questa falla è pericolosa perchè sta crescendo nei giovani e nel loro bisogno patologico di approvazione, nelle insicurezze che li rende adulti di fatto, ma adolescenti dal punto di vista psicologico, crea conformismo, che è il nemico principale del progresso vero di una società e peggio di tutti, alimenta l’ipocrisia. Il gioco di finzioni, di ruoli, di vite che sono collegate ma sconosciute, assume così un carattere gigantesco e malsano. Il timore di essere se stessi uccide l’autonomia e la capacità fondamentale di sopravvivere e di vivere bene con se stessi, anche quando non si ha l’approvazione degli altri.
Ricordo ancora che quando ero piccola giocavo spesso sola e nessuno si preoccupava di tenere il mio tempo occupato, se mi annoiavo mi inventavo qualcosa che mi piaceva. Questo mi ha regalato da “grande” un mondo interiore fatto di cose che mi riempiono e non mi stancano mai e anche quando mi stancano, mi stimolano a cercarne sempre altre nuove.
Rebecca Montagnino
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