Quando esco di casa penso più a stare bene con me stesso e/ o a piacere agli altri.
Da molti anni con l’apertura di sempre più numerosi centri estetici, appare evidente come la dipendenza per il proprio aspetto sia un dato di fatto. Specie nel nostro paese dove l’apparenza ha un culto sacrale. Rispetto ad un tempo per uscire di casa non basta più essere in ordine e ben vestite, ma occorre un corpo da modella, unghie perfettamente dipinte, un trucco da notte degli Oscar e un immancabile pedicure. Ma non si può più dire che riguarda solo le donne; dal parrucchiere sono molti gli uomini che si depilano, acconciano le sopracciglia, tengono al loro look o affollano le sale pesi innamorati delle loro tartarughe. Allo stesso tempo il bombardamento delle pubblicità di prodotti dietetici o di cosmetici o il crescente numero degli abbonamenti in palestra denotano un elevato interesse per la forma fisica. La Società Italian di Psichiatria afferma che circa mezzo milione di italiani sono sport-dipendenti, il 30% di questi soggetti soffre anche di anoressia e bulimia, con associate sindromi depressive.
Quanto conta il nostro aspetto fisico.
Se da un lato avere cura del proprio aspetto fisico è un aspetto sano e importante della personalità, quando diventa incontrollabile ed eccessivo scade nel patologico. Le cause sono varie: conflitti emotivi inconsci, identità fragili, disfunzione delle aree cerebrali, situazioni famigliari in cui si tiene molto all’esteriorità e al raggiungimento di un certo perfezionismo. Non ultimo e secondo me molto d’impatto, è l’aspetto socioculturale. Vedevo l’altra sera un programma sui divi/dive di Hollywood e come si fossero trasformati per “restare sull’onda”. Per quanto sia più giustificabile vista l’importanza che la popolarità ha per loro, i volti forzatamente giovani o modificati apparivano anche grotteschi e senza emozioni. Per non parlare delle mode della chirurgia estetica dove grazie alla globalizzazione labbra e occhi iniziano ad avere gli stessi connotati in più parti del mondo. Non so se la somiglianza priva di originalità sia alla lunga un fattore di bellezza, quanto di rassicurazione personale. Il problema è che questo senso dell’apparenza e del divismo colpisce anche categorie sociali che non ne avrebbero bisogno, ma che effettuano sacrifici economici alla ricerca di una bellezza perfetta o che si modellano a costo di compromettere la propria salute. Non solo la bellezza nasce dall’anima e se questa è vuota, occorre “riempirla di botulino”, ma soprattutto così si evita di affrontare la crescente fragilità interiore che anche con labbra rifatte resta sempre alta. Ci sono moltissime donne già belle di per sè, che si sottopongono ad interventi o si ossessionano per il loro aspetto quando non ne necessiterebbero, unicamente perchè devono riuscire a raggiungere standard e aspettative molte alte per sentirsi a posto. In fondo le bambine crescono con le Barbie e a questo modello si ispirano. Continuano a svilupparsi vedendo ovunque foto di donne magre e infelici, ma celebri. Le taglie dei vestiti sono più piccole di un tempo e persino le commesse nelle grandi catene di abbigliamento femminile, vengono scelte o scartate a seconda del loro peso. Così molte ragazze soffrono di amenorrea come se fosse normale…non lo è infatti, ma l’essere magrissima è socialmente approvabile.
Mai quanto in quest’ era il fattore estetico è diventato un imperativo tale da creare patologie nelle persone. Nei paesi dove c’è la guerra o problemi di fame, nessuno si ossessiona per il proprio corpo, segno quindi che il benessere fa proliferare problemi anche inutili rispetto alla sopravvivenza. Molte patologie dell’immagine infatti nascono e sono presenti solo nella società occidentale dove ad esserne colpiti sono tutti, anche persone intelligenti e aperte, come se fosse la società e la cultura dominante a denominare i canoni estetici. Forse l’unico antidoto sta in un’Identità che non ha bisogno di rassicurazioni esteriori e artificiali, ma trova al suo interno la forza di essere sè stessa e di accettarsi per quello che è. Non è un caso che persone in età adulta, che oramai dovrebbero avere raggiunto quella sicurezza interiore basata non più solo sull’immagine, ne soffrano ancora. Questi problemi degenerano laddove il focus della personalità è esageratamente spostato su canoni superficiali e sull’apparenza, creando a lungo termine problemi anche più seri, come disturbi dell’umore, disturbi di personalità borderline o comportamenti ossessivi compulsivi.
Patologie culturali e bisogno di approvazione
La dismorfofobia ( dal greco antico dis-morphé e phobos= timore) è la fobia che origina da una visione distorta del proprio aspetto esteriore, causata da un’eccessiva preoccupazione per la propria immagine corporea. Talvolta il disturbo nasce da un difetto fisico, più o meno marcato, ma può anche essere immaginario; il punto è che la percezione del soggetto è tale da invalidarne la funzionalità della vita quotidiana, attraverso un senso di inadeguatezza che ne limita la vita sociale, affettiva e sessuale. Le parti del corpo più colpite sono il seno, i capelli, i fianchi e le cosce per le donne; il torace, l’addome, il naso e le parti genitali per gli uomini. Può anche dipendere da una peluria eccessiva o dai capelli che diventano radi. In genere sono le donne le più esposte, specie in età puberale, ma il fenomeno si sta allargando anche agli uomini e in fasce d’età molto più avanzate. Quello che si evidenzia è l’atteggiamento di grave preoccupazione del soggetto che evita situazioni o persone che lo possono far sentire imbarazzato per il suo problema. In genere passa molto tempo a controllare il suo aspetto, ore davanti allo specchio a controllarsi o sulla bilancia a pesarsi, si compra vestiti per camuffarsi in modo compulsivo o ricorre alla chirurgia estetica con trattamenti invasivi che spesso rischiano di deformarlo ancora di più. Anche davanti alle correzioni non si sente mai soddisfatto e si confronta continuamente con l’aspetto fisico altrui.
Molti autori definiscono la dismorfofobia anche con il nome di “sindrome dello specchio“. Il termine fu coniato dallo psichiatra Enrico Morselli nel 1886 per descrivere una “sensazione soggettiva di deformità per cui il paziente si sentenotato e giudicato dagli altri, nonostante il suo aspetto normale”. Pertanto tale problematica come tutte le fobie, non può essere controllata razionalmente ma può portare sovente a disturbi del comportamento alimentare come anoressia bulimia e ortoressia. Alla base c’è spesso un bisogno di perfezionismo altissimo e un disturbo narcisistico, in quanto la persona pur odiando la sua immagine corporea in realtà ne è totalmente soggiogata. In fondo i soggetti narcisistici soffrono se non sanno di esistere per gli altri, è la loro droga, vivono molto nell’apparenza e nell’ autoproclamazione della loro immagine. Il loro bisogno di approvazione prevarica persino il loro benessere.
Come tutti i sintomi quando sono presenti in proporzioni così massicce tra la popolazione, hanno il rischio di sfuggire all’attenzione pubblica e di rientrare nella “normalità”. Se la preoccupazione o il culto per il proprio corpo assume globalmente livelli così alti di concentrazione, si trascura la pericolosità del malessere che spesso nasconde molto altro. La società e l’individuo dovrebbero sempre più essere studiati insieme; per quanto l’aspetto soggettivo sia fondamentale, non può, nè deve, essere scollegato dal suo studio all’interno del contesto sociale e culturale in cui si trova. Se ci fosse un messaggio in partenza diverso e un’attenzione congrua a cosa l’uomo sta provocando con i cambiamenti culturali e la globalizzazione, si interverrebbe migliorando la società piuttosto che curando poi l’individuo. Siamo sommersi da un punto di vista psicologico di non-malattie, che ogni giorno vanno ad aumentare le pagine del DSMV, patologie conseguenti all’aumentato benessere economico che hanno sostituito le patologie di un tempo, ma non sono meno gravi o insidiose. Forse sono solo più tristemente diffuse…
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