DAL MIO PUNTO DI VISTA….
Il disturbo narcisistico è entrato molto tempo fa nella mia vita, ancora prima che ne sapessi il nome e prima che mi ci infilassi e lo imparassi a conoscere così sfaccetatamente. E’ arrivato nella mia vita professionale e privata come qualcosa che stonava, che feriva inspiegabilmente nei piccoli e grandi comportamenti “egoistici” ed autocentrati e che pertanto, mi ha motivata a capirne le origini.
Quando ero all’università avevo due aspettative piuttosto normali: di incontrare nel mio lavoro grandi tragedie umane, perchè i casi nei libri che studiavo, di quello parlavano; che quei testi fossero semplicemente attuali. Invece era come leggere Dostoevskij e credere che il mondo fuori fosse così. Mi aspettavo che quelle teorie fossero ritenute ancora attuali ed integrate dai cambiamenti sociali, dalla sociologia stessa, dalla filosofia. Chiaramente pensavo anche che avessero unito il lavoro sulla mente con quello sul corpo, non in senso solo fisiologico o anatomico.
Mi sono adattata male quando ho scoperto quanto obsolete fossero quelle teorie, perchè il mondo si era trasformato da allora e in modo molto veloce. Le teorie non avevano seguito i tempi, non avevano contestualizzato l’individuo nella cultura e nella società in cui cresceva. Non che quelle teorie fossero da buttare, rappresentavano la base della psicologia della personalità (basta pensare a quanto sia valido Introduzione al narcisismo di Freud ), ma avevano mancato gravemente di aggiornamento. Il divario è così diventato sempre più crescente tra l’introspezione e l’esteriorità, totalmente a discapito della prima.
I casi erano meno drammatici, ma più difficili; i veri problemi erano ignoti a chi mi stava davanti, spesso mascherati da falsi problemi o problemi secondari. Non occorreva tanto sondare l’inconscio, quanto innanzitutto ripulire il conscio da un’enormità di condizionamenti, che creavano sovrastrutture pesanti. Le persone avvertivano un disagio, nonostante ne parlassero come se non fosse il loro. Il “proprio” non lo vedevano, nè erano in grado di leggere ciò che avveniva intorno al Sè ( ho compreso poi che il problema era che mancava quel Sè). Ho capito che bisognava prima portarli a “vedere”, a togliere le foglie morte che ingombravano l’entrata della loro esplorazione. Non che ci fosse una Realtà migliore, semplicemente che quella che avevano conosciuto fino a quel momento, era limitata e condizionata. Ce n’erano tante, perchè chiunque ha la sua, chiunque ragiona e sente a seconda di quello che ha vissuto e generalizza credendo che tutti siano uguali. Talvolta questo passaggio non avveniva: i vantaggi secondari che comportavano i problemi erano troppo utili e comodi, perchè le persone avessero la forza e il coraggio di cambiare o di sentire. Soprattutto per capire quale fosse la loro vera Identità.
La sofferenza stessa era cambiata. Era lontana, distaccata, era un concetto, non una sensazione che stravolge le viscere. Era difficilissimo far arrivare il messaggio, dire che quello che avevano vissuto fino a quel momento non era tanto sbagliato, quanto limitato, perchè equilibrava degli stati di immobilità vantaggiosa. Non essendoci più valori, credere a quei vantaggi e aggrapparcisi, diventava la via più facile. Non si soffriva più per conquistare qualcosa, si soffriva perchè quel qualcosa era vago. Quando soffro e ho chiaro il motivo, in qualche modo sono già avanti nella consapevolezza del mio essere. A volte pur assistendo profondamente e in modo coinvolto alla sofferenza dei miei pazienti, non posso che dire, “meno male, stai iniziando a sentire, perchè prima non sentivi nemmeno. Soffrivi per condizionamento.” Prima era la comprensione l’atto catartico, oggi è la liberazione di emozioni e del vero Sè.
In pratica il problema nasceva come conseguenza del benessere, di una vita troppo facile che non stimolava la costruzione di una personalità, ma lasciava le spine dorsali deboli e incapaci di sorreggere il peso della vita: non c’erano situazioni esterne di privazione grave, per questo i problemi si autoproducevano, così da provocare la maturazione della Persona. A remare contro era anche il forte bisogno di approvazione, che diventava un ostacolo alla percezione dei propri bisogni, nonchè ad una ricerca di autenticità.
Ma il fenomeno del disturbo narcisistico cavalcava anche nella vita di tutti i giorni, nelle mie relazioni private. C’era qualcosa di ambiguo ed incomprensibile che si diffondeva velocemente ed in modo molto diffuso. La noncuranza delle persone non aveva nemmeno un fine secondario, spesso era semplicemente una mancanza di empatia o interesse per il prossimo, che rendeva le persone egoiste e distaccate.
Come afferma Filippini : “….è un malumore di fondo, silenzioso, umano, persistente, contagioso: un rimurginare talvolta rancoroso, più spesso pesante; una difficoltà a sentirsi contenti degli altri, e a dirglielo ; un disagio nella condivisione di uno stato d’animo; una ritrosia nel contatto personale.”
Io mi trovavo e mi trovo a metà: perchè sono a cavallo di due generazioni e non appartengo per un motivo o per un altro, a nessuna delle due, ma ne vedo l’infinita distanza. Non sono lontane cronologicamente, ma emotivamente, nei valori, nell’autonomia, nella relazione umana. Le persone della mia, non a caso soffrono perchè comparando i due momenti storici, trovano questo modo di vivere assurdo e individualista; quelle odierne, soffrono perchè non vedono e non provano sensazioni. E si sentono “perse”, come cantava Frankie Hi Energie.
Mi trovo ancora a metà perchè seppur conosco la sofferenza di un tempo, le situazioni famigliari davvero gravi o disfunzionali, mi accorgo che il malessere di oggi è più subdolo, nasce dal benessere e pertanto resta o vorrebbe restare nascosto. Questi danni sono molto più corrosivi, perchè hanno metastasi ovunque. E la persona non sa che sta male, nè sa indicare dove le fa male. E’ spersonalizzata, vive fuori dal suo corpo e dalle sue sensazioni. Riflettevo che un tempo si diceva “stare nell’attimo”, oggi si dice “stare sul pezzo”, che non hanno esattamente lo stesso significato; basta pensare che una frase è introdotta dalla preposizione dentro, la seconda da sopra.
Sembra assurdo spiegare a chi non è stato investito dalla cultura o dal problema narcisistico, quanto faccia male realizzare che si soffre davvero per la prima volta da “grandi”, perchè fino a quel momento i problemi sono stati ostracizzati dalla vita, è un’esperienza esplosiva, capire che quelli di prima erano semplicemente costrutti mentali più che emotivi, ha un effetto destabilizzante. Una cultura così compromessa dalle immagini, conserva dei ricordi solo visivi ( non a caso legati all’approvazione e quindi all’apparenza), che si sbiadiscono più facilmente nel tempo, rispetto a quanto farebbero, se fossero legati da sensazioni fisiche o emozioni. Questi ricordi perchè più effimeri, hanno quindi una valenza molto bassa, nella scala dell’esperienza e della memoria .
E’ difficile far capire a chi sente, cosa implica la pena di non sentire. Sembra impossibile. Eppure stanno male anche loro, perchè provano sempre meno tolleranza verso il prossimo, non sanno leggere certi comportamenti egoistici, questo spostamento di valori su cose prettamente materiali. Ad un certo punto è scoppiato qualcosa, come se il count down avesse accelerato la sua discesa, in tutti i settori dalla cultura, all’ecologia. Non fa comodo dirlo e probabilmente per questo se ne informa poco, in quanto rende il tutto molto più “controllabile” e manipolabile.
La cultura narcisistica ha un impatto fortissimo nel nostro malessere, ci rende soli, perchè agisce creando individualismo e fragilità nei rapporti umani. Fa diminuire l’empatia ed accrescere l’egocentrismo, non porta saggezza, ma immaturità e irrisolutezze gravi.
Ciò toglie moltissimo alla nostra qualità di vita e alla nostra umanità: ci viene detto che saremo davvero felici quando penseremo solo a noi stessi, solo ai nostri bisogni, solo a superare i nostri problemi. Il che se da un lato è vero, non significa che si deve tendere solo alla soddisfazione di un sè grandioso, quanto al raggiungimento di una Personalità capace di integrare il suo bene con quello degli altri. Come diceva la frase finale di “Into the wild”, film molto significativo diretto da Sean Penn “Happiness is real only when shared”( la felicità è reale solo quando viene condivisa)
Rebecca Mnontagnino
R.Filippini, Avventure e disavventure del narcisismo
S.Freud, Introduzione al narcisismo
C.Larsch, L’era del narcisismo
Z.Bauman, La solitudine del cittadino globalizzato
Mi è piaciuto tanto. Un bacione, D.