Cosa accade dentro di noi quando andiamo in visibilio per la musica

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Già secondo Shakespeare il “sentire” la musica era diverso dall’ascoltarla. L’ascolto presuppone semplicemente un buon funzionamento auditivo, il sentire qualcosa in più: un buon funzionamento della sensibilità. La musica è infatti una delle esperienze emotive più dirette che ci siano, anche se a seconda della delicatezza individuale e della capacità di lasciarsi andare, il livello di coinvolgimento varia. Persino coloro con difficoltà ad emozionarsi, possono attraverso le note, sentire ed esprimere ciò che normalmente è inesprimibile.

Per me la musica è qualcosa di sacro; è un’esperienza viscerale, immersiva, capace di riallinearmi emotivamente, quanto di scuotermi. Non c’è live che non ricordo, non c’è mattino in cui mi sveglio senza che ci sia una canzone a darmi il buongiorno e quasi sempre le parole o la musica sono un insight, mi comunicano qualcosa dal mio inconscio, come fa un sogno. E’ talmente intima che oggi realizzo che ci sono parti che preferisco tenere preziosamente dentro di me, complici di un mondo talmente privato che scelgo di tenere per me. Negli anni ho scoperto che per quanto possa essere bella la condivisione della musica, questo lato trascendentale per essere vissuto pienamente, forse richiede uno unicamente spazio personale o da spartire solo quando siamo certi di avere un referente con la stessa lunghezza d’onda.

E’ ed è stata perciò la mia compagna più fedele, più sincera e profonda in ogni momento bello o brutto, una fonte di ispirazione e persino la forza motrice per andare avanti. A lei devo moltissimo, per questo quando stanotte ho deciso di scriverci un post, lo faccio cosciente che non basterebbe una settimana per omaggiarla, per il contributo che lascia al mondo e che imprime dentro di me.

Ma cos’è in grado di fare la musica dentro di noi?

LA MUSICA E’ IL NOSTRO MONDO INTERIORE. Nel memorabile passaggio dal film “Le ali della libertà” del 1994 di F.Darabont che tutti voi ricorderete, il protagonista infonde, grazie alla bellissima aria di Mozart -tratta da “Le nozze di Figaro”- un autentico momento di bellezza a tutti i carcerati, regalando loro per un attimo un’emozione in grado di farli evadere. Un grandioso Tim Robbins nei panni dell’esecutore, si assume il rischio di quindici giorni di isolamento per questa sua prodezza e lo fa coscientemente. Quando ne esce afferma: “Non ero solo, ero in compagnia del signor Mozart- Questo è il bello della musica, nessuno può portartela via ..è proprio qui dentro che la musica ha senso. Serve per non dimenticare che ci sono posti a questo mondo che non sono fatti di pietra. E CHE C’è QUALCOSA DENTRO DI TE CHE NESSUNO TI PUò TOCCARE O TOGLIERE, SE TU NON VUOI”

Per chi vive la Musica come passione sa bene quanto possa essere talvolta più consolatoria nelle sue melodie di mille parole, quanto possa tenerci compagnia più di un essere umano. Ed è questo uno dei primi poteri della musica, è la trascrizione del nostro mondo interiore. E’ il nostro spirto, la nostra essenza.

Il suo ascolto, i brani che scegliamo, i generi, delineano la nostra personalità; per questo guardo sempre con sospetto chi dice di amarla tutta. E’ come dire è tutto uguale, senza esprimere una preferenza, un gusto o manifestare la propria Identità in qualche modo.

Sicuramente oggi l’ascolto è cambiato; da quando la musica viene scaricata, il suo valore (non solo economico) si è abbassato. Si è persa la preziosità dell’attesa per comprare un disco, le ore passate poi a conoscerlo, a studiarne i testi e a conoscere la mission di una band. A volte il suo ascolto diviene un passatempo passivo, atto solo a coprire il rumore del traffico.

La musica credo che racchiuda invece più di tutto ciò che siamo nel profondo ed è veramente quella forza che ci manda in visibilio (penso a tanti inizi di concerto) che nessuno può toglierci.. (o quasi, il covid in effetti ci sta provando).

Se penso ad un film che esprime questa passione per la musica, mi viene subito “Lezioni di piano”

COSA SUCCEDE NEL NOSTRO CERVELLO QUANDO ASCOLTIAMO LA MUSICA.

Nella storia della musica e nella sua evoluzione, si possono capire i passaggi diversi dell’umanità, le differenti etnie, le crisi dei momenti storici; c’è un nesso incredibile tra luoghi in cui alcuni generi musicali sono nati, nelle parole quanto nella ritmicità. Pensiamo alla musica blues, ai gospel, alle storie dei libretti d’opera. Massimo Mila ad esempio in “Storia della musica“, spiega come il Romanticismo non poteva che nascere nel Nord Europa, laddove il clima si prestava ad una maggiore introspezione, mentre nei paesi che si affacciavano sul Mediterraneo le melodie erano di conseguenza più allegre. Conoscere la storia della musica dunque, è anche un viaggio nella storia dell’umanità

Ogni genere di musica che ascoltiamo genera in noi un’attivazione di una diversa parte del cervello. Per questo viene anche utilizzata nell’ambito riabilitativo e come forma di arteterapia. Negli anni sono poi stati creati laboratori di story telling come gruppi di autoaiuto per gli adolescenti, dove permette di elaborare e comprendere meglio le esperienze quotidiane.

Platone e Aristotele davano già ampio spazio all’importanza dell’educazione musicale; secondo il primo ad esempio una buona educazione e una buona musica aiutavano le passioni umane a rigare dritto. Nella Politica Aristotele sottolineava soprattutto il valore morale della musica: ” Tutti ascoltando suoni imitativi sono gettati nello stato d’animo corrispondente. L’anima è armonia e la musica contiene armonia “. La musica conduceva per loro ad una catarsi, che suscitava ed espelleva poi le inclinazioni immorali. Pensiamo come la relazione musica= educazione degli istinti più scuri, sia stato ripreso in fondo anche da Kubrick in “Arancia meccanica” . L’anima secondo tale visione, risuona in sintonia con lo spirito della musica che ascolta, così come l’ascolto prolungato favorisce la sintonizzazione psicologica con quell’armonia.

La musica perciò modula la nostra emotività. A tal riguardo mi torna sempre in mente un capitolo in particolare “La catarsi in scatola” , dal meraviglioso libro “L’angelo e il fonografo” di Evan Eisenberg, in cui afferma : “in ciascun caso scegliamo la musica che più si conforma al nostro stato d’animo” (capacità quindi catartica per chi compone come per chi fruisce dell’ascolto). ” La musica esprime la morfologia del sentimento, arrivando dove il linguaggio non arriva. La possiamo usare o scegliendo un brano opposto al nostro stato o un brano che lo rispecchia: “Brahms ha il potere di farci sentire felicemente infelici“, spiega ancora : a volte sentiamo il bisogno, per potere allontanare un’emozione dolorosa da noi, di covarci un pò dentro. Entriamo cioè in uno stato di risonanza empatica con quelle note, la cui presenza dentro di noi ci fa sentire compresi.

Questo fa la musica, ci mostra il nostro dolore, la nostra rabbia, ce la sentire fino in fondo dentro e poi catarticamente, espelle quel malessere e lo sublima. Attira, tiene dentro, ma quando il brano finisce o il concerto termina, la sensazione è di purificazione. “La musica non è soltanto uditiva, è anche il senso di una presenza, di una realtà da riempire con la nostra o meno.”

https://www.focus.it/comportamento/psicologia/ascolto-musica-inaspettato-piacere-cervello

https://www.stateofmind.it/2015/03/musica-cervello-neuroscienze/

LA MUSICA COME COMUNICAZIONE.

La musica è come dicevamo un ponte: unisce persone diverse, culture diverse, generazioni diverse. Forse questo fenomeno è meno visibile nel nostro paese, se però guardiamo come viene vissuta la musica live ad esempio in Uk, ci rendiamo subito conto che intanto non è un velo sul malessere interiore, non è solo intrattenimento. E’ cultura (forse questo spiega anche la qualità differente..). Non ci sono barriere generazionali, o tendenze politiche o di moda ad infestarne l’esperienza. E’ per tutti.

Oggi l’esperienza dei live è spesso confusa con una forma di presenzialismo, esibito e postato immediatamente sui social. Sembra quasi che la corsa al biglietto e la partecipazione non parta da una passione profonda, quanto dal bisogno di mostrare agli altri dove si è/ chi si è. Lontani dal “io c’ero” di un tempo di generazioni passate . All’epoca ogni concerto, (anche per questioni di minore possibilità economiche, in quanto i genitori non elargivano soldi così facilmente per l’acquisto dei biglietti) era un momento Unico. Era davvero come andare ad un tempio sacro; oggi durante un concerto si fa di tutto come mangiare, parlare, fare video, postare, farsi selfie come se le rockstar fossero l’audience più che la band che si esibisce. Spesso le parole e il significato delle canzoni che si ascoltano nemmeno si conoscono, non si conoscono le idee di chi le ha scritte, non se ne conoscono i valori, ed è una grave perdita.

Certamente la musica definisce anche il gruppo di appartenenza per tutta una serie di fattori, dall’abbigliamento, al culto e ai riti che ognuno ha nel vivere quel vissuto e in questo dimostra come sia anche un’esperienza in grado di coinvolgere sia la mente che il corpo. Come afferma Andrea Montesano in “Psicologia del Rock”, l’uso di certi strumenti e del modo in cui vengono impiegate le note durante i concerti, creano una forma di risonanza olistica, un passaggio sinestetico. La musica crea tale sensazione e la ricezione del pubblico rimanda a sua volta una risposta di contagio emotivo. Nasce così quel flusso tra palco e audience, che è la ragione che rende l’esperienza dei live qualcosa di insostituibile.

Spesso sento porre la domanda a molte rockstar se la musica può cambiare il mondo; da un punto di vista psicologico di sicuro può aiutare emotivamente, può aprire la mente, la conoscenza di altre forme d’arte ad essa associate (pensiamo ad esempio il mondo che ci si apre approfondendo David Bowie), le parole di una canzone possono spiegarci stati interiori che il linguaggio comune non arriva a fare. Inoltre se ricordiamo cosa significò l’indimenticabile il 13 luglio 1985 lo spettacolare ed indimenticabile Live Aid, forse una risposta l’abbiamo. Così come l’attivismo politico di Serj Tankian documentato nel recente “Truth to power” o in US+THEM Di Roger Waters, forse non cambiano il mondo, ma di certo mostrano come il potere mediatico di chi sta sul palco davanti a 80.000 persone possa essere enorme

Questa scena tratta da “Incontri ravvicinati del terzo tipo“di Spielberg rappresenta secondo me l’apice del potere di comunicazione di condivisone della musica Qui diviene il ponte non solo tra gli umani, ma tra uomini ed extraterrestri e contiene tutto ciò che la musica può fare: aprire , unire, toccare.

Perchè la musica è veramente una grande forma di comunicazione, di relazionalità, di accettazione della diversità. Riesce ad unire persone completamente opposte in parti del mondo lontane e ognuno conosce la sensazione di simpatia che si prova quando incontrimao qualcuno che ascolta la nostra stessa musica, lo abbiamo già accolto.

Tengo sempre nel cuore e nella mente questo passaggio (tratto da Storia del teatro di C.Molinari) : “Rispetto a movimenti di un tempo in grado di adunare folle, oggi gli unici eventi sono le migliaia di spettatori ai concerti rock. I quali sono diventati veri spettacolo, dove la musica è certo l’elemento centrale, ma non il solo. Il fanatismo dei rockettari può suscitare qualche perplessità, ma in effetti si tratta di un fanatismo buono: nell’altro -spettacolo di massa-, le partite di calcio, spesso ci si ammazza, ai concerti rock ci si vuole bene. Vale la pena di chiedersi perchè. Forse la causa va ricercata in due bisogni drammaticamente impellenti ai nostri tempi: quello di calore e quello dell’oblio.”

Rebecca Montagnino

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