CONOSCIAMO DAVVERO CHI CI STA VICINO?
“La ragazza con il braccialetto”, come molti film francesi fanno con un finale aperto, ci lascia appesi con questo quesito tutt’altro che leggero ( motivo per cui non a tutti piace uscire dal cinema senza avere una risposta e per cui non a tutti lascia appagati il cinema francese). Truffaut a tal proposito diceva che un film rispecchia la vita, ci dà uno spaccato, un momento, nemmeno noi sappiamo nella vita cosa ci accadrà domani, perchè cercarlo a tutti i costi in un film?
Un film può mostrarci uno spaccato, un momento, qualcosa che non sia l’intera storia di una vita; non per forza dobbiamo sentirci chiamati in causa per interpretare cosa volesse dire o per dare un finale. A volte l’arte, qualsiasi essa sia, non ci richiede questo sforzo cognitivo, ci lascia in uno spazio di sospensione che possiamo riempire o meno, a seconda del nostro sentire soggettivo o del nostro personale modo di vedere le cose. Possiamo limitarci ad osservare, a questo sentire. Vero è che spesso questo “non detto” esplicito lascia uno stato di sconcerto, quandanche di destabilizzazione.
Per quanto conoscere il finale possa essere percepito rassicurante, tranquillizzante e per quanto la chiusura aperta, possa apparirci di primo acchito ansiogena. Chissà se dovremmo invece imparare a convivere di più con l’indefinitezza, soprattutto perchè questo bisogno di controllo continuo è illusorio nel cinema, quanto lo è nella vita.
Il film narra la storia di Lise una diciasettenne accusata dell’omicidio della sua migliore amica e del processo che avviene dopo due anni. Non sappiamo quindi realmente come sono andati i fatti , ma quello che colpisce e ci fa riflettere, è che in fondo nemmeno i suoi genitori lo sanno, scoprendo durante le ammissioni della figlia di non conoscere la sua personalità, le sue abitudini, la sua sessualità.
CONOSCIAMO DAVVERO LE PERSONE A NOI PIU’ VICINE? Se il finale ci pone una domanda così importante e se tale domanda lascia un senso di vertigine, è perchè ce la poniamo sempre e perchè ci piacerebbe avere la risposta. Tale quesito ci attanaglia in tutto il corso della nostra vita, non solo quando conosciamo qualcuno di nuovo, ma anche negli anni con chi pensiamo di conoscere bene (laddove ci illudiamo che il tempo aiuti tale conoscenza). Non lo sappiamo, non solo per gli estranei, ma è difficile ammetterlo, questo vale anche per le figure più care, più vicine, quelle con cui costruiamo per eredità o per scelta, dei legami intimi profondi. Tante volte sento lamentare figli di non sentirsi riconosciuti dai propri genitori; verità …ma quanto conoscono loro i genitori? E’ doveroso confessare che questa scarsa conoscenza è reciproca, quanto è doveroso realizzare che questo fatto sia biologicamente naturale.
Proprio nelle figure il cui ruolo è più rappresentativo nella nostra esistenza noi proiettiamo delle storie, ci raccontiamo dei personaggi che una volta formatosi, difficilmente si scoprono nella loro essenza, restano anche negli anni quello che noi abbiamo visto/voluto vedere, con le dinamiche che abbiamo instaurato.
Se accettassimo questo come una normale situazione di vita e la pulissimo da ogni aspettativa romanzata su quello che invece vorremmo fosse la relazione con l’altro, trasparenza e cristallinità, assenza di ruoli e proiezioni, apertura totale, forse la nostra vita sarebbe più facile e meno costellata di delusioni. Se ci ricordassimo che i nostri genitori, come i nostri figli sono comunque persone prima di tutto, non ci aspetteremo questa complementarità la cui assenza è una delle fonti primarie di dolore.
QUESTIONE DI FIDUCIA–La vera domanda in fondo è : quanto e fino a che punto mi posso fidare di quella persona??? Quanto mi posso af-fidare…e come vedremo questo sottende un problema di fiducia in noi stessi. Abbiamo bisogno di sapere dell’altro perchè forse in fondo dubitiamo della nostra capacità di affidamento su noi stessi , divenendo così più importante la fiducia che mettiamo nell’altro. Vorremmo altresì essere sicuri dei nostri partner, amici, così da non restarne mai delusi. Stabilire il prima possibile chi abbiamo davanti, senza temere sorprese e non considerare che gli anni, le esperienze ci cambiano, e noi come loro siamo destinati a modifiche frequenti. E’ utopistico e alla lunga la verità è che sarebbe persino noioso, sapere tutto; quel bisogno di controllo e di rassicurazione costante ci stancherebbe più di quanto ci piace invece sognare. “Voglio conoscere tutto di te”, non è vero, è un’idea o un ideale che rincorriamo.
Pensiamo all’innamoramento: richiede per forza di cose una dose di illusione, un velo su ciò che non ci farebbe innamorare se lo sapessimo in partenza; noi stessi innamorandoci in fondo non diamo anche inconsciamente la parte migliore di noi????
MOTIVI PER CUI NON E’ POSSIBILE CONOSCERE REALMENTE QUALCUNO. Il primo ovvio è che non conosciamo mai nemmeno noi stessi abbastanza, per non dire quasi per nulla e se non attraverso un percorso di consapevolezza, vaghiamo su questa terra il più del tempo ignari di chi siamo realmente. E senza consapevolezza su di me, posso conoscere realmente qualcuno? In secondo luogo se noi siamo abili a raccontarci inconsciamente una storia su di noi e a recitarla lungo tutto il vissuto, facciamo ancora peggio con l’altro: l’altro diviene lo specchio del mio racconto, dell’idea che voglio avere di lui, che ho costruito e che mantengo granitica con tutti i miei sforzi (per sforzo non intendo solo un processo positivo).
Abbiamo una mappa di schemi, di proiezioni, di meccanismi di difese per leggere l’altro, uno specchio coperto dal vapore fatto dalle nostre emozioni che cambiando, ci fanno cambiare opinione. Se siamo infuriati sappiamo bene che la nostra visione della relazione e delle persone si modifica, se stiamo bene altrettanto. Fluttuiamo perciò in visioni che dipendono dal nostro sentire del momento, spesso perdendo di vista quella che è la nostra visione quando siamo sereni, giudichiamo in preda a come ci sentiamo o a come pensiamo che gli altri ci fanno sentire. Questo potere non dipende dall’altro ma da noi stessi e non sappiamo capire che l’ altro non è che la somma del giudizio dei pensieri e delle convinzioni che accumuliamo nel tempo…
EPPURE..Eppure sappiamo dai fatti di cronaca quanto talvolta questo giudizio sia cieco, anche quando la situazione, i trascorsi dovrebbe farci cambiare opinione, restiamo appesi ad un illusione per non staccarci dal nostro sentimento. Parlo dei fatti di cronaca, degli omicidi in famiglia, quando ci sono le avvisaglie o quando la cecità blocca dal notare quello che pericolosamente non va, sminuendolo per non soffrire e costringendo a volte ad una sopportazione estrema , se non alla morte. Certe cose le vediamo, ma vogliamo dare a quegli episodi un carattere meno grave, più leggero.
Mi vengono in mente le parole di Xavier Marias in Il tuo volto domani”..o forse una volta che le cose accadono non ci rendiamo conto che sapevamo che stavano per accadere e che era esattamente così che dovevano andare? E non è vero in fondo che ci meravigliamo tanto quanto facciamo vedere agli altri e soprattutto a noi stessi e riconosciamo i disattesi avvisi che qualche strato della nostra incoscienza senza dubbio ha sì colto? Forse è che vogliamo convincerci della nostra stessa stupefazione come se in questa potessimo trovare un’incongrua consolazione e scuse infinite?…Ci avrei giurato, non me l’aspettavo , che delusione..sappiamo qual’è la storia che si racconterà quando finirò la nostra fine.. Respingiamo l’indizi e ci rifiutiamo d’interpretare tanti segni e le releghiamo e li rigettiamo nella borsa delle immaginazioni per contrapporre loro altri, che in fondo sappiamo che non sono segnali ma finzioni e simulacri che cercano l a nostra fiducia, il nostro sopore o sonnolenza..non siamo abituati a desiderarlo : ci annoiano il proteggerci e il prevenire e lo stare all’erta e a tutti non piace gettare lontano lo scudo e marciare leggeri brandendo la lancia come un ornamento.”
FINALE DI PARTITA.
Forse per usare di nuovo la famosa affermazione di Truffaut, bisognerebbe accettare di più che nella vita non possiamo sapere i finali, imparando a non controllare a tutti i costi quel che ci accade o accanirci nel prevedere cosa ci attende domani. Imparare quindi che non possiamo conoscere davvero chi abbiamo vicino, semplicemente perchè la vita è un continuo fluire di esperienze che ci cambiano, ci modificano. Viviamo in un’era dove è più difficile di un tempo avere delle certezze; noi come il mondo intorno è in perenne movimento, stravolgimento, aperto in ogni momento ad ogni sorta di cambiamento. Tanto più sentiamo che queste infinite possibilità si sommano, tanto più sentiamo che ci sfuggono le certezze, tanto più sentiamo il bisogno di stabilire un controllo su ciò e chi soprattutto non è in realtà controllabile…
L’antidoto è un equilibrio sottile tra la consapevolezza, quindi la visione realistica e oggettiva ed una resa al desiderio di bisogno di controllo. Avere una buona consapevolezza di chi siamo ci rende centrati e solidi, da cui nasce la forza per sopportare le delusioni o gli inevitabili cambiamenti. La stessa che ci aiuta a vedere con maggiore chiarezza, senza inganni, anche ciò che non ci piace e che prima o poi saremmo costretti ad accettare.
Accettare che ognuno di noi ha delle zone d’ombra, un suo mondo privato, un mondo che non conosciamo, in cui non ci è permesso entrare: a meno che questo mondo incida sul nostro benessere, non ci è chiesto di agire per conoscerlo a tutti i costi, soprattutto se questo serve a lenire la nostra ansia dell’incertezza
Rebecca Montagnino
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