Chi vive meglio…

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La realtà non è ciò che ci accade, ma quello che facciamo con ciò che ci accade” A.Huxley

Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto :” Conosci gente felice?”. Ora rispondere si ai tempi di una pandemia è piuttosto improbabile, eppure allora e riflettendoci in seguito, ritengo che non ci sono persone felici, in quanto la felicità è uno stato e come tale transitorio, esistono però persone che sanno vivere meglio di altre. E l’aforisma di Huxley racchiude un pò questo concetto a cui credo molto.

Intanto, come ci ricorda sapientemente Gioia in “Inside out” è anche la presenza di tristezza o l’alternanza delle emozioni positive e negative, che rende la vita significativa e la felicità uno stato capace di essere apprezzato.

Sembra che già da prima che il covid colpisse le nostre esistenze, albergavano in noi due convinzioni: bisogna cercare e pretendere la soddisfazione totale nella vita e se non ottengo ciò che voglio, sempre e quando lo dico io, è lecito che io mi senta totalmente insoddisfatto/triste/depresso. Chiaramente una siffatta premessa, purtroppo figlia degli esiti del benessere della società occidentale, scatenava delle aspettative non conformi alla realtà. Non solo il benessere si ” misurava ” erroneamente sull’equazione felicità=assenza del dolore, generando una visone utopica piuttosto diffusa in questi ultimi decenni. Come lo dimostrano i fatti, dall’uso sempre più massiccio di antidolorifici, antidepressivi e dalla negazione di malattie (altra convinzione leggermente non realistica, salute=assenza totale di malessere che ha anche ha fatto proliferare gli stati ipocondriaci), la felicità prevedeva uno stato “luna-park” tutto il tempo!

Come vediamo inoltre nella pratica, ci sono persone che pur avendo tutto non sono affatto felici, basta pensare ai suicidi di chi famoso, aveva ottenuto prestigio, benessere economico, riconoscimento e gloria. D’altro canto ci sono persone che pur avendo poco e non avendo raggiunto nessun tipo di celebrità, si sentono realizzate e il prezioso contributo di D.Kanheman, vincitore del premio Nobel ce lo spiega benissimo. Nel suo libro, “Economia della felicità” sradica l’associazione reddito= felicità a cui siamo soliti pensare e dimostra invece che alla base della felicità ci sia uno stato di equilibrio psico-fisico.

CHI VIVE MEGLIO?????Se dovessi pensare a chi vive meglio, stilerei una lista di persone che hanno lavorato molto su lo stesse, raggiungendo un senso di responsabilità ed una consapevolezza di sè e del mondo, dei propri limiti, quanto delle proprie risorse, che permette loro di avere un sano contatto con la realtà. Consci dei loro schemi, abbastanza risolti interiormente, in grado di vedere che oltre al proprio punto di vista, ce ne sono sempre altri, capaci cioè di apertura e flessibilità mentale. Diventano nel tempo abili cioè nel mettersi davvero in discussione. E in genere sono persone che vivono coerentemente con i loro valori e che hanno quindi trovato un senso loro nella vita.

Queste caratteristiche in genere sono comuni sia tra coloro che hanno raggiunto un livello di consapevolezza piuttosto elevato, quanto tra coloro che praticano un tipo di meditazione come la mindfulness. Cosa hanno in comune? La gestione dei loro pensieri e delle loro emozioni, che non vuol dire controllo, ma capacità di direzionare questi due aspetti fondamentali in modo funzionale.

LA TERAPIA O LA MINDFULNESS POSSONO DAVVERO MIGLIORARE LA VITA? Prima della pandemia pur vivendo in un mondo in cui le condizioni di vita erano abbastanza vantaggiose, il quantitativo di sofferenza psicologica era sempre molto elevato. Basta pensare come negli ultimi anni il numero di persone afflitte da disturbi emotivi, sia ansia che depressione, sia aumentato e che probabilmente l’esplosione di richieste di aiuto dopo il covid ,sia la conseguenza di un sommerso che è venuto a galla per forza di cose.

Al di là del concetto di evoluzione dei bisogni della piramide di Maslow, concetto che implica che come si sale, i bisogni divengono più sofisticati quanto le problematiche connesse, ciò che nel passato ha gettato tanta inquietudine e malessere, forse è stato aspettarsi che le cose dovessero essere sempre molto facili e per giunta comode. Che non servisse quindi impegno, che emozioni e pensiero non avessero bisogno di un “modo d’impiego”, che bastava seguire la corrente, curarsi del corpo più che dalla mente, che c’era sempre qualcosa di esterno a noi che poteva o salvarci magicamente o annientarci totalmente; pensare che tutto dipendesse o solo dal nostro volere/potere o ritenere che non avessimo nessun potere sulla nostra vita. Da un lato sopravalutando il nostro potere, peccando cioè di onnipotenza e dall’altro sottovalutandolo, ovvero rassegnandosi passivamente.

Non a caso la pratica della mindfulness è diventata così diffusa, la nostra testa è diventata un recipiente carico di stimoli eccessivi, talvolta inutili, di rimurginazioni che inevitabilmente provocano ansia e malessere. Così come negli ultimi tempi accanto alla richieste di aiuto, molti fanno della psicologia uno strumento di miglioramento della propria vita, di conoscenza di sè; intraprendono percorsi non solo per guarire, ma per “curarsi”, curare la propria anima e ritrovare il senso perduto della vita. I corsi di crescita personale non sono più come un tempo un’attività semplicemente di moda, quanto una necessità nata dal vuoto esistenziale a cui si cerca di rispondere in modo emotivamente intelligente.

COSA CI FA VIVERE MEGLIO. Ci sono due aspetti su cui possiamo influire totalmente nella nostra vita: il nostro pensiero e il nostro stato emotivo, sul resto delle cose abbiamo un margine di possibilità d’azione relativo, ci sono variabili esterne come l’altro o fatti su cui possiamo “solo” decidere come reagirvi (ma tale potere relativo in realtà fa una differenza enorme).

Quello su cui possiamo incidere infatti è la ri-soluzione dei nostri problemi interiori e la scoperta di chi siamo realmente per vivere in modo responsabile e consapevole. Siamo portati a pensare che difronte le avversità della vita l’atteggiamento mentale sia forzatamente unico, mentre è proprio quello a segnare la differenza, basta pensare all’enorme potere che riveste la resilienza. Certo non è una strada breve, non sempre è facile, perchè dobbiamo abbattere resistenze, zone confort continuamente, rompere schemi e abitudini maladattive. Serve impegno, sacrificio, lavoro, allenamento, ma non è poi così tanto il da farsi se permette come scopo quello di cambiarci la vita. E’ triste vedere che a volte quello che dipende da noi non si muove, è triste accettare che difronte al grande spreco di risorse in cui possiamo fare poco a livello globale, ciò che possiamo a livello individuale languisce e si trasforma in una amara rassegnazione. Abbiamo in dotazione una mente e la capacità di usarla bene, basta solo sapere come e il resto dipende da quanto quotidianamente ci impegniamo nel farlo, in fondo vale per tutte le cose e tutti i tipi di apprendimento. E come Afferma Ciolan ” Il coraggio di soffrire che manca di più è quello di soffrire per cessare la sofferenza”

Rebecca Montagnino

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