Accettazione o approvazione?
Recentemente un titolo di un libro ha sollevato il mio interesse: il coraggio di non piacere di Ichiro Kishimi. Secondo me il titolo era già coraggioso di suo, perchè attualmente ammettere che non c’è forse paura maggiore che quella di non piacere, non solo a qualcuno ma a tutti, è una rivelazione audace. Così come non c’è ansia più forte che convivere con l’idea che qualcuno da qualche parte, possa non avere un’immagine irreprensibile di noi. Non c’è piacere se non viene condiviso e approvato in un giro di nanosecondi. Non c’è terrore più paralizzante che essere esclusi, abbandonati, lasciati soli a sè stessi, con l’idea di morire soli, senza sostegno un giorno. Paura che oggi si definisce autofobia, la cui manifestazione va dalla paura di dormire da soli la notte, a quella di non essere amati.( argomento a cui toernerò in seguito) .
Il sottotitolo del libro è : liberati dal giudizio degli altri e parla attraverso la forma di un dialogo tra un giovane ed un filosofo, del coraggio di essere se stessi senza dipendere dalle aspettative altrui. Se oggi c’è un problema veramente molto diffuso e piuttosto sottovalutato nella società occidentale, è secondo me come ho modo di scrivere spesso, il bisogno di approvazione. E se c’è una paura che blocca l’espressione di sè quasi in ognuno, è la paura di quello che gli altri pensano di noi e del loro giudizio. Negli anni ho notato che ogni cultura, come ogni fase generazionale, comporta una serie di peculiari condizionamenti; la nostra cultura purtroppo ha quest’ aspetto rimarcato, in quanto è molto attenta all’apparenza e il momento storico è molto impregnato di individualismo e narcisismo. Quando una situazione è massificata e non viene confrontata con punti di vista diversi, viene sottostimata e se un atteggiamento diviene parte della cultura dominante, si normalizza e non si riconosce come problematica.
Tutte le culture tradizionali in genere rischiano di evidenziare il lato conformista dell’individuo, specie quando il senso della famiglia comporta una visione autocentrica e di contro, una difficoltà ad allontanarsene anche solo mentalmente. Questo senso di protezione quando è eccessivo assorbe tutte le energie, rendendo i processi di sviluppo lenti, a volte irrisolti nel tempo e piega i membri ad essere “uguali” più che vicini. Ci si continua a contorcere al suo interno, in un specie di limbo amniotico, in cui le energie restano bloccate nel passato, piuttosto che usate per sviluppare la personalità.
Quando si parla di bisogno di accettazione, c’è senz’ altro un bisogno sano alla base, quello di appartenenza ad un gruppo, che ci rende attivi e cooperanti all’interno della famiglia, ci induce a cercare legami tra gli amici, a cercare un partner, a saper collaborare in un team e a lavorare per mantenere i legami. Quando però questo bisogno supera l’ascolto di bisogni personali, assecondando solo quelli altrui e ponendoci in uno stato di dipendenza dal loro giudizio o dalla paura del loro rifiuto, finisce con il soffocare la nostra identità a scapito della nostra individualità, mortificando la nostra autostima/ autonomia e impedendoci di essere assertivi. Ho scritto più volte che secondo me esiste un rapporto diretto tra autostima ed assertività e bisogno di accettazione dall’altra, dove lo sviluppo dei prime due non si attiva dal momento che il nostro scopo è compiacere gli altri. Non sempre questo problema è visibile, spesso è talmente condiviso e rafforzato da chi ci sta vicino, che fatichiamo a riconoscerlo e ci abituiamo talmente tanto a sopprimere i nostri bisogni, che ci convinciamo di essere davvero così; rassegnati e passivi, con enormi sensi di colpa quando proviamo ad alzare la testa e ad opporci a quello che gli altri si aspettano da noi. Nel tempo nemmeno siamo più in grado di riconoscere che non ci sta bene, l’oppressione che sentiamo per il disappunto altrui, diventa un muro contro cui non osiamo avanzare. Talvolta poi non si tratta più di essere semplicemente accettati, quanto di essere approvati, come se cercassimo la differenziazione in punti di piedi senza far rumore, chiedendo quasi la benedizione se agiamo in modo diverso da come gli altri si aspettano da noi. “Non pensar male di me” questa è la frase che marca la mente di chi ne soffre e di chi tiene più a preservare la sua immagine, che la sua autenticità. Non è un caso che l’approvazione si trovi ad un gradino oltre l’accettazione, in quanto implica un’ accettazione incondizionata, come quella che avevamo da bambini e che probabilmente è in relazione con il malessere attuale. Penso spesso che se non osiamo tollerare di essere disapprovati dalle figure primarie, mettendo in discussione la loro autorità durante l’adolescenza, questo processo trova difficoltà a svilupparsi nell’età adulta nelle relazioni con altre figure.
Differenziarsi, che dovrebbe essere il fulcro dell’adolescenza, presume proprio ribellione, disobbedienza, confronto, scontro, per osare diventare sè stessi. Non su temi su come mettere a posto la stanza, bensì su argomenti che toccano la parte più intima dell’Io. Purtroppo in queste ultime generazioni la libertà viene felicemente barattata con la comodità pratica, economica, con l’assunzione di poche responsabilità pur di restare il più a lungo possibile nella confort zone.
Si evita così il conflitto che è invece parte integrante della crescita e un modo di asser-ire chi siamo, imparando al contempo a rispettare l’altro. Temiamo il conflitto, anzi l’idea stessa del conflitto genera uno stato di ansia insopportabile all’interno della nostra famiglia e nel tempo, avviene nel lavoro, con gli amici, con il partner, ci asser-viamo pur di “far parte di” …non ci confrontiamo, nè affrontiamo questa paura, preferendo restare nel bozzolo in cui siamo, sicuri così che andrà tutto bene. Forse. ..forse fuori funziona apparentemente anche bene, ma non dentro di noi, lì ogni cosa si sgretola finchè non sappiamo districarci dal bozzolo, ne siamo invischiati come in qualcosa di appiccicoso, tolto il quale non sappiamo più chi siamo. Rimaniamo intrappolati nel “pare brutto“, frase che ha la pesantezza di una montagna e non ci rendiamo conto invece che pare brutto per noi mortificare i nostri bisogni e farci del male…Rimaniamo incatenati nel chiedere a tutti se quello che facciamo sia giusto o sbagliato, senza osare sbagliare e capire che si impara molto dagli errori nella vita e che servono ad insegnarci a come stare meglio al mondo.
La mancanza di trovare il proprio Sè, talvolta si sposta così sull’essere il Problema: la paura di non ricevere quell’approvazione mette in moto inconsciamente tutta una serie di meccanismi per cui ci identifichiamo nel ruolo di vittima, che diviene così il passaporto che ci permette di entrare e includere nell’accettazione dell’altro… La patologia, i disturbi di personalità diventano l’unico modo trovato per essere se stessi, un modo per l’Io di dichiarare una sorta di definizione e indipendenza dal resto del mondo. O peggio ancora è la pena suscitata che conquista l’accettazione.
Quando ho pensato ad un video da scegliere per questo post, pensavo in realtà a questo film, L’attimo fuggente che adoro, forse perchè quando lo vidi alla sua uscita, ero in quella fase di vita in cui come loro delineavo me stessa. Probabilmente tutti voi lo conoscerete e ricorderete il famoso concetto di Osare essere se stessi: questo era l’insegnamento indimenticabile del professor Keating, che per tale messaggio veniva allontanato dal college conformista in cui lavorava.
Credo che questa scena più di tutte rappresenti i concetti espressi finora …il cercare Sè stessi, che sia attraverso il proprio modo di camminare, di muoversi nella vita…rifiutando il conformismo a cui pieghiamo i nostri gusti, i nostri pensieri, le nostre opinioni, le nostre emozioni, per elemosinare l’accettazione altrui. Se guardiamo indietro spesso ci accorgiamo che abbiamo dipeso da persone il cui parere oggi non ci interessa più, persone che non fanno più parte della nostra vita. Essere se stessi è un prezzo importante da pagare, anche se fa comodo seguire il gregge…è importante anche a costo di deludere gli altri, di rischiare, ma arrivando alla fine della nostra vita senza aver deluso noi stessi, l’unica persona in fondo con cui vivremo ogni giorno.
Se sei interessato all’argomento partecipa al webinar sabato 4 luglio “Il bisogno di accettazione” alle ore 14. Per iscrizioni ed info contattami pure..
Rebecca Montagnino
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