La pratica della bellezza
Perchè parlare di bellezza in psicologia? Perchè, come affermava David Hume, “La bellezza delle cose sta nella mente di chi le contempla”….
Se c’è qualcosa che mi dà benessere durante questo lungo anno di pandemia, è cercare la bellezza ogni giorno in ciò che mi circonda, come una spinta a cui tendere. Cercarla aiuta a scoprirla, perchè predispone la mente alla sua continua ricerca, ingentilisce gli stati emotivi, pulisce in qualche modo dalla nebbia che sta fuori, specie quando fuori il cielo si incupisce. E’ proprio lì che bisogna praticarla di più. A volte cercarla è semplicemente pensare di vederla, di assaporarla, attenderla. L Immaginazione in fondo sappiamo pregusta la sensazione anticipandola, è il preludio dell’esperienza dal vivo. “L’aspettativa del piacere è essa stessa piacere” diceva Freud
Ricorderò per sempre la gioia alla notizia della riapertura dei musei, il momento in cui praticamente da sola sono rientrata nei musei Vaticani, con un senso di soggezione, di commozione. Il momento in cui ho preso il biglietto on line, il tragitto per andarci, l’emozione la sera prima. Durante tutti questi mesi aspettavo il week end, il bel tempo, il momento per andare ad immergermi in chiese, parchi, monumenti, giardini, alla vista di capitelli, facciate, fiori, affreschi. Era un modo per respirare, appagare lo spirito, nutrire l’anima e pensare che comunque anche durante la pandemia c’era ancora la bellezza…
LA GRAZIA Proviamo uno stato di grazia quando entriamo in contatto con l’armonia e la bellezza; di fatto la parola grazia deriva da gratus, riconoscente. Il sentimento che sentiamo dentro è la conseguenza emotiva per aver colmato il nostro bisogno di meraviglia, per l’immensità di cose belle che l’uomo sa fare, godendone anche nelle piccole cose di ogni giorno. La gratitudine genera apertura, disponibilità, apre il chakra del cuore, come quando siamo ad un concerto e sentiamo un senso di pace verso gli altri esseri che ci circondano o quando camminando in mezzo alla natura, sorridiamo a chi incontriamo.
Contemplare la bellezza, nella natura, nell’ascolto della musica, difronte ad un quadro, arricchisce noi e ci apre all’empatia. Per questo chiedo sempre nel mio lavoro cosa amano le persone, di cosa si nutrono interiormente, per conoscere le loro “medicine” dell’anima. Chi l’ha detto che in terapia bisogna solo parlare di patologia? Come si conoscono i sintomi, si conoscono anche i rimedi..
La bellezza ha una capacità tras-formativa, perchè tocca le nostre emozioni più intime. Esiste ad esempio un effetto di risonanza emotiva quando vediamo un’opera d’arte così come quando siamo immersi nel verde. L’empatia cioè non è solo un processo che riguarda il contatto umano, riguarda anche il luogo in cui siamo, quando ci fa risuonare qualcosa dentro. Più che mai in questo momento storico la psicologia ha bisogno di bellezza, noi persone abbiamo bisogno di cultura, per non impoverire lo spirito già frustrato da un anno. Abbiamo necessità di questo contatto per il potere persuasivo delle emozioni, per tornare ad appassionarci dell’ambiente in cui viviamo.
LA POLITICA e BELLEZZA Quando per caso ho scoperto un libro di J.Hillman “La politica della bellezza”, sapevo già che sarebbe stato un libro importante per me, uno di quelli che mi fa sentire a “casa”.
Sembrano di primo acchitto due parole opposte, cosa c’entra la politica con la bellezza? Per politica ovviamente non si intende quella che fanno i partiti, quanto quella che vive nelle polis, nelle città. “Il senso del bello gira per il mondo, ci accompagna in macchina, nei negozi, in cucina. ..siamo inconsci del bello, siamo diventati inconsci dell’impatto del mondo” si afferma nella prefazione. La repressione o non la coscienza della nostra risposta al bello, è deleteria come ogni forma di repressione dei sentimenti, ma è anche un insulto a un riconoscimento del mondo. Trascurare quindi il luogo in cui viviamo, come non prestare cura al nostro modo di vivere il tempo libero, come alle cose che usiamo, mangiamo, di cui ci circondiamo, è desensibilizzare questo stato necessario al benessere del mondo. Restiamo “ottusi” afferma ancora Hillman, convincendoci che la nostra sofferenza derivi unicamente dal nostro vissuto personale, dalle nostre relazioni e non dal mondo in cui viviamo. Rimandiamo quindi indifferenza e non ve ne prendiamo parte. Quando il cuore non sente, non prova e-mozione e nemmeno il corpo si muove.
IL DESTINO DELL’INDIVIDUO DIPENDE DAL DESTINO DEL MONDO. E viceversa aggiungerei io. La frase è una citazione di Jung il quale vedeva in ognuno d noi ” un peso nella bilancia del mondo”.
In questo libro Hillman come già aveva fatto in “Cento anni di terapia”, fa una critica alla psicoterapia, che ha omesso la bellezza dal suo studio, creando una barriera ancora più forte tra paziente e cittadino. Siamo diventati iper attenti al mondo psichico e sempre più distaccati dal mondo fuori. La psiche secondo lui non riguarda solo il soggetto umano, anzi deve aiutare l’uomo a rim-mettere queste emozioni nel mondo per poterlo apprezzare e quindi anche maggiormente preservare. Se pensiamo l’atteggiamento narcisista della nostra cultura è in effetti un amore ego-centrato. La libido invece di essere indirizzata naturalmente verso l’oggetto fuori, si dirige all’interno e si piega su sè stessa.
Hillman definisce non a caso il narcisismo come un “disturbo della bellezza”. E’ il piacere stesso che ne viene deprivato, perchè non sbocciando fuori non è in grado di amare niente oltre che se stesso. “Diventiamo insensibili nei confronti gli uni degli altri e nei confronti della nostra stessa sensibilità. Abbiamo perso la capacità di farci persuadere per via estetica. Le risposte anestetizzate sono diventate reazioni puramente meccaniche a degli stimoli, la mancanza di riposta significa mancanza di responsabilità.”
Se l’ Io si polarizza solo sulla propria persona, si aliena in tal modo dalle cose del mondo. ” Disseminare il mondo di rifiuti, costruire strutture mostruose, consumare e sprecare per distrarsi dalla noia, non è semplicemente illegale, immorale o antisociale, e nocivo alla salute. E’ anche vergognoso: è offensivo nei confronti del mondo stesso e dannoso nei confronti della sua anima. C’è un impero enorme, brutto e perverso sempre all’opera giorno e notte, per mantenerci in questa situazione. Il divertimento e la televisione carichi in modo maniacale, iper, rumorosi, violenti; le notizie, le bevande, lo zucchero, il caffè; sostanze che potenziano e che stimolano; e poi comprare, comprare, comprare, l’industria della salute che sviluppa i muscoli e non la sensibilità ; l’industria medica ridotta a distributore di droghe: pillole per dormire, stimolanti, sedativi, bambini impasticcati.
LA PRATICA DELLA BELLEZZA Praticare la bellezza significa vivere come abitudine, momenti di bellezza: tali momenti hanno il potere di renderci consapevoli dell’anima e ci guidano a prenderci cura del suo valore. Nasce così l’amore per la natura e la sensibilità in generale e invece di occuparci dell’ambiente per dovere o per senso di colpa, diviene un desiderio istintivo ed un bisogno.
Occorre riscoprire l’immaginazione, perchè senza non c’è percezione emotiva. In questo periodo invece la nostra immaginazione è incagliata tra una speranza che tutto ritorni come prima o tra gli scenari di un futuro infinito; il senso del presente si dissipa facilmente e viene a mancare una risposta attiva, nonchè la possibilità di cogliere ciò che ci circonda. Racchiusi tra passato e futuro, perdiamo il senso del qui ed ora, della sorpresa, della scoperta e del nostro potere di cambiamento sul mondo.
Questa forma di anestesia emotiva esisteva già da anni in realtà. Praticare la bellezza è una via per risvegliare l’amore per la vita e per ritrovare la capacità di emozionarsi, perduta tra le cose materiali ed effimere dietro cui ci nascondiamo da tempo .
La bellezza sta anche nel ritrovare la creatività. Se osserviamo l’arte nei secoli, la creatività scopriamo che è facoltà innata, una necessità atavica da sempre di abbellire l’esistenza umana. La sua presenza è una testimonianza del bisogno di rendere tangibile l’inconscio, una risposta che gli uomini hanno dato alle loro crisi personali e e sociali. Quando visitiamo, impariamo la loro resilienza, le loro lotte, comprendendo che a volte la sofferenza è la strada maestra e necessaria per raggiungere qualcosa di più elevato. Attraverso l’arte si sublima il dolore, lo si rende un messaggio in cui tutti possano ritrovarsi, consolarsi e capirsi. Il dolore può persino divenire un mezzo per avvicinarci alla bellezza e per trascendere le nostre singole esistenze attraverso l’atto creativo.
Nella storia dell’arte, nella letteratura, nella musica sono contenuti tutti i possibili stati d’animo, per questo esperirli è un modo per capirci e consolarci anche. Quando parliamo di vivere queste situazioni parliamo infatti di es-perienza, di qualcosa superiore al semplice contemplare passivamente.
Camminare nel verde, contemplare in silenzio un dipinto, ascoltare la musica, sono delle forme di compensazione necessarie nei periodi di sofferenza, aiutano a calmare gli stati emotivi e a ritrovare uno stato di pace e di grazia. L’arte come un paesaggio attivano infatti le aree dopaminergiche del nostro cervello, i centri del piacere e della gratificazione. Centri che siamo abituati ad attivare in genere con abitudini malsane.
Per questo la riapertura dei luoghi di cultura, motivo di dibattito in questi giorni, è una necessità più che mai primaria per ricominciare a guardare altro, oltre e per tornare a sognare ancora.
“La bellezza, senza dubbio non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza”, A.Camus
Rebecca Montagnino
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