E’ tutta colpa del covid?Onnipotenza narcisistica e pandemia
“Ci fu un tempo in cui apparve chiaro che tutto quello che era stato vissuto come Pretesa non poteva più essere tale, che non era realmente possibile esercitare nessun controllo sugli eventi del mondo, nè tantomeno esercitare un dominio su altro che te stesso…non esiste un diritto assoluto, perchè il bisogno che rincorri è solo il , tua l’ immagine, tua l’idea… Eppure allora, anche dopo averne preso atto, nulla cambiò davvero. Ma c’era stata, mi domandai guardando il levarsi del giorno, una vera presa di coscienza ? ” (Il canto del giorno nuovo. M.Bechkey)
Questo paragrafo sembra sia lo specchio di un sentimento su ciò che sta avvenendo oggi. La sensazione diffusa che “se anche dovesse cadere un meteorite io mi sposto o, a me comunque non prende” viene scambiata per una falsa certezza. Nella negazione avviene in fondo questo, si elude quella parte che non piace, per questo si scrive sempre a matita affinchè si cancelli facilmente subito dopo con la gomma: quel lato s-comodo, un pò buio, che richiederebbe una ridefinizione delle nostre convinzioni, come dei nostri valori e soprattutto della nostra identità. Se la negazione è però un meccanismo di difesa e come tale ha un suo scopo, quale è la sua funzionalità in questo momento?
Mi sono chiesta perchè è così forte proprio oggi. Banalmente perchè accadeva già da prima, un ‘epidemia più sottile aveva contagiato già la nostra essenza. Come afferma A. Baricco in “Quel che stavamo cercando“, la sua ultima opera in cui paragona la pandemia come alla creazione di un mito :” Si è lavorato molto per creare un unico campo da gioco in cui ci si potesse spostare con una velocità e una facilità mai conosciute prima: vale la pena di ricordare come, dovendo scegliere un termine per nominare quell’andatura stupefacente, si sia finito per scegliere, con istinto sicuro , il termine virale…Farci correre informazioni o denaro o numeri o notizie o musica cambia poco le cose: è sempre un gioco pandemico.” Anzi aggiungerei che lo spirito dei tempi ha epurato l’anima da ogni emozione autentica, eliminandone talvolta persino le sensazioni fisiche per evitare di vedere oltre e guardarci dentro. E quindi non è un caso che quel lato delirante di onnipotenza, vada a legarsi alla negazione attuale, creando un connubio che se pur resta doloroso da constatare, rende la realtà più spiegabile. Sempre Baricco ” ..era una follia andare a quei ritmi , disperdere con così tanta attenzione e sguardo, smarrire qualsiasi intimità con sè stessi, scambiarsi corpi nevroticamente senza fermarsi a contemplare il proprio, vedere molto fino a raggiungere una certa cecità, conoscere molto fino a non capire più nulla”
DELIRIO DI ONNIPOTENZA Rileggendo “La Peste” di A.Camus non trovo l’angoscia per risonanza che temevo, trovo invece la consolazione che si prova quando un pensiero è condiviso. Se penso all’epoca in cui si svolge il romanzo e le profonde riflessioni dell’autore, mi accorgo che l’uomo nel suo intimo e nelle sue reazioni è stato sempre questo in fondo. Quello che trovo cambiato tra quella situazione e la pandemia in atto, è l’atteggiamento di sfida molto più insofferente oggi, quel senso di immodificabilità che permea le condotte mentali e comportamentali. Nel mezzo del secolo trascorso da quando venne scritto l’opera ad ora, l’uomo infatti ha aumentato la sua sete di potere sulle sulla natura e sulle cose, le ha forzatamente dominate, sfruttandone le risorse, spogliandone le riserve. Perdendo al contrario e paradossalmente sempre più, il dominio su se stesso tanto da disconnettersi da se stesso.
La contrapposizione tra chi sente che può tutto e che tutto gli è dovuto, rispetto a chi non sente di avere nessun potere sulla sua vita, si è inasprita. Questo spiega in parte l’enorme fragilità che si nasconde dietro l’assenza di consapevolezza, ogni cosa sembra essere indifferente se non nutre il proprio ego. In realtà se ci pensiamo bene, il delirio di onnipotenza è uno dei tratti salienti del narcisismo, virus da cui siamo contagiati silentemente da molto più che un anno. E se siamo nell’era del narcisismo di cosa sorprenderci allora?
IL BISOGNO DI COM-PIACERE DEL NARCISISTA Ricordiamoci che il narcisista vive in un eterno presente,- mangio oggi, e domani si vedrà-…Manca in lui il collegamento con le conseguenze future delle proprie azioni . Vive mentalizzando, ma non sentendo realmente cosa prova o cosa provino gli altri, in quanto la sua persona è totalmente direzionata alla ricerca di com-piacere gli altri e il suo Ego. La sua ricerca di soddisfazione immediata è tale e pretenziosa da scavalcare l’altro come persona a sè o il mondo, se lo ritiene necessario.
L’aver riposto negli altri il suo valore rende di conseguenza, fluida e instabile la percezione che ha di sè, come è instabile l’opinione degli altri.
Così anche la sua attenzione è incostante e fluida; se tutto serve ad ottenere il plauso esterno, non serve approfondire, basta che sia incartato in modo piacevole per brillare sul momento. E come incarta scarta, forse ancora più velocemente, quando il sapore fugaceo dell’appagamento è passato, senza immergersi in niente, perchè “deve” subito passare ad altro, essere da un’altra parte, essere onnipresente e onniscente o almeno crearne l’illusione per esser tranquillo di non venir smascherato. Passa così da un luogo ad un altro, da un lavoro ad un altro, da una relazione all’altra, da un hobby all’altro solo come gli conviene. Resta in-capace di sentire e capire cosa vuole davvero, perchè avendo smarrito la propria identità, è estraneo a Sè stesso.
Un ‘altra differenza ancora con il momento storico della peste narrata nel libro, era che le persone si chiedevano ancora cosa potevano fare per il mondo, oggi si chiedono cosa può fare il mondo per loro. Per cui crisi climatica o pandemia non sono qualcosa su cui sentono di dover intervenire, non ne hanno responsabilità, ma sono fenomeni che si dovranno adattare ai loro personali bisogni. Questo sgretola pian piano, se non è stato già polverizzato del tutto, la ricerca del senso della vita: quando si è persa l’empatia e quando la sensazione di insoddisfazione cronica dilaga, non si è più in grado di vedere che manca quella soddisfazione necessaria che nasce e si appaga, dal proprio contributo al mondo e dal prendersene cura.
E’ TUTTA COLPA DEL COVID? . Se l’emotività si spegne e la capacità di provare sensazioni si affievolisce, quello che si cerca deve essere sempre più intenso, più eccessivo e più forte. Tanti episodi di eccesso oggi vengono attribuiti al covid, è tutta colpa del covid si dice. Mettendo dentro ritardi, mancanze, indifferenze, ma soprattutto gesti eclatanti ed estremi come risposta al disagio. Il disagio è innegabile che c’è, ma questi episodi c’erano anche prima della pandemia. Ricordiamo i sassi dal cavalcavia, il cyberbullismo, le scene violente riprese per gioco su Youtube, tutti quei fenomeni che ad esempio Galimberti nel 2008 già descriveva in “L’ospite inquietante” . La società era già malata psicologicamente e lo era perchè questa fame di visibilità, di provare emozioni forti che toccassero e scuotessero dal torpore, che andassero fuori dall’ordinario, era già assestata.
Se mi sento onnipotente cioè che posso tutto, non sono attento al pericolo, non so leggerlo e anzi mi piace perchè quel senso di sfida e di adrenalina muove il mio corpo che in genere soggiace alla noia. La sopravvalutazione del Sè e la sottovalutazione del rischio sono due fattori inevitabilmente ed estrinsecamente correlati, due binari paralleli. Il binge eating, il binge drinking, gli sport “estremi”, nascono dalla percezione di assenza di piacere dalla normalità. Bisogna cercare la spettacolarizzazione, qualcosa che strappi un tumulto, che ci avvicini al sentirci speciali ed unici. Tutte quelle forme di dipendenza così normalizzate oggi, rispondono in fondo a questo bisogno da un lato di ec-cedere e di essere guardati e con annessa la conseguente sottovalutazione del rischio dall’altra. Chi dipende non ammette di esserlo, perchè convinto che ha e avrà appena lo desidererà, il potere di interrompere e perchè in un mondo dipendente la sua falla sembra una goccia.
IL PERICOLO E LA FUGA DALL NOIA .
Come dicevamo uno dei tratti peculiari del narcisista è un senso di inappagamento continuo, un’insoddisfazione cronica di sè stesso che proietta nella vita. Siccome tutto deve ruotare intorno a sè, non pensa che quest’inquietudine possa nascere da aspettative sopravvalutate della realtà e che magari il problema è più al suo interno. Ciò che teme è di scoprire la sua normalità, il suo essere ordinario, medio-cre. Di conseguenza la necessità di trovare sempre nuove compensazioni che lo portano a vagare come un dannato in un girone dantesco.
Non è un caso che il fine settimana sia il momento in cui aumenta il bisogno di provare eccessi, cose forti che spezzino la “noia” della routine della settimana. Non è solo il momento del tempo libero, anche perchè la stessa socializzazione che è il momento a cui questo viene dedicato, diventa lei stessa fonte di ansia. Se la settimana opprime per l’ansia della prestazione professionale, la vita privata agita per l’ansia di prestazione personale o sociale. Giustifico quindi il mio bisogno di eccedere, come quello di mettermi in una situazione di pericolo. Mi arrogo di conseguenza il diritto di pretendere, nel senso specifico temine: attribuisco indebitamente a me. Così le reazioni di assembramento durante questa pandemia, il rifiuto di comprendere o di responsabilità. Se non vedo il pericolo – a me non prende e se prende non prende male- di contagiarmi e soprattutto di contagiare, abbasso attenzione e precauzioni.
AUMENTO DLLE DIPENDENZE .
E se non vedo il pericolo non vedo nemmeno quello di languire nelle mie dipendenze, che spesso sono la risposta più immediata al bisogno di fuggire da quella noia o da quell’ansia.
Sono infatti aumentate tutte da un anno a questa parte, tabagismo, consumo di alcool, di cibo, gioco d’azzardo on line, shopping on line, ore piccole davanti le serie, per non parlare del rapporto con i sociali e il tempo speso on line. Senza che se ne avvisi la pericolosità e senza che si osservino le indulgenze plenarie o dissonanze cognitive che giustificavano il perseguire di tale condotte. E’ tutta colpa dl covid, dell’incertezza, del distanziamento… Questi riempimenti invece aiutano solo a spostare il disagio al post condotta, disagio che in genere si ingigantisce piuttosto che diminuire.
Finora non siamo diventati più buoni con la pandemia, siamo diventati più dipendenti e indifferenti, forse qui la risposta intrinseca alla domanda iniziale sulla funzionalità di tale negazione. La funzione per cui la distr-azione (o distruzione?) fa andare avanti, senza consapevolizzare il trauma : senza soffermarsi troppo a sentire e riflettere, riempendosi mente e corpo di cose leggere . Ed è un modo si per non arrancare nel buio ed andare avanti. Ma se arretra la capacità di vedere le conseguenze dei nostri comportamenti a lungo termine come i pericoli a breve, forse c’è un punto doverosamente necessario di trovare un diverso modo di vivere e un migliore equilibrio nel sistema. Perchè semplicemente ne siamo parte. Anche una parte piuttosto piccola, ma che contribuisce al tutto. Siamo anima mundi per dirla alla Hillmann.
Rebecca Montagnino
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