Sappiamo ancora comunicare?
Sappiamo ancora comunicare? Se il verbo indica la trasmissione di un messaggio e la sua relativa comprensione, mi sorge qualche dubbio…ancora di più quando con comunicare si intende il rendere partecipi gli altri di una propria passione o sentimento. Siamo certi di non fraintendere e non essere fraintesi???
Per quanto ci sia la tendenza ad equiparare la comunicazione vis a vis e quella digitale, esiste qualche enorme differenza.. La comunicazione digitale un pò alla volta, senza che ne fossimo del tutto consapevoli, ha dapprima integrato, poi combinato, forse oggi sostituito la comunicazione in presenza . Se perciò al messaggio mandato via chat vi sorge spesso la domanda “mi avrà capito?” o vi è sorto il dubbio di aver capito poco ciò che vi è arrivato, sarebbe il caso domandarsi se: a) funziona davvero b) se riesce a farmi/ci esprimere in modo chiaro e comprensibile
I cambiamenti che la comunicazione digitale ha apportato e visto l’uso che se ne fa, verrebbe da pensare che abbia solo effetti positivi. Da cultrice e trainer in Pnl, ho qualche perplessità. Il primo argomento a sostegno della comunicazione via cchat vs quella face to face è la rapidità: considerato il tempo impiegato, spesso dire le stesse cose al telefono piuttosto che scriverle, è in realtà molto più rapido. Inoltre parlare al telefono consente di camminare e per quanto si scriva anche guidando ormai, sappiamo che non è una cosa sempre molto…”funzionale”. Scrivere di fretta poi comporta due ulteriori problemi, si scrive male, con abbreviazioni ed errori di grammatica enormi, si scrive pensando di essere stati chiari (certezza presente unicamente nella testa del mittente). Escludendo tutta quella serie di segnali di linguaggio non verbali che chi non conosce bene la comunicazione trova superfluo, contrariamente a chi la conosce bene che sa invece essenziali, ai fini della comprensione. Gli emoji non sono esattamente sostituiti emotivi, sappiamo che un’emozione ha un respiro ed un tono che varia a seconda del nostro stato e che permette di contestualizzare il contenuto di una frase.
Molti hanno optato perciò ai messaggi vocali che troppe volte nascondono in “scusa, così te lo spiego meglio perchè era lungo da scrivere”, l’occasione di monologare per minuti infiniti, creando una sorta di presa in ostaggio per chi li riceve (e che in genere a messaggio ascoltato, si domanda se quei minuti non potevano essere dimezzati).
Sempre sull’impiego del tempo inoltre metterei in luce un altro aspetto, la condivisione di foto, di post, di letture, di screen shot, di video non sempre illuminanti, di qualsiasi cosa che passa per la testa, che sommati a fine settimana avrebbero consentito, per il tempo impiegato a visionarli, la lettura di almeno venti pagine di un libro o di tempo impiegato in qualsiasi attività di cui ci si lamenta di “non avere mai tempo”.
Il problema più grave come evidenzia anche il post fine pagina, è che la comunicazione digitale è emotivamente più disimpegnata, cioè evita anche quel minimo contatto che la telefonata vocale richiede, al punto che oggi in molti trovano o provano discomfort e ansia ad usare la chiamata, come fosse un’invasione quando le notifiche incessanti hanno di sicuro un impatto di maggiore invasione di stress e deconcentrazione di una telefonata. Semplicemente ltelefonare viene vissuto se disattivato a lungo nelle normali abitudini e competenze relazionali, come un ‘eccessiva esposizione personale che genera ansia. Pian piano la messaggistica whatsapp ha scambiato la capacità di creare rapporto, relegando ad un come stai dosato con una certa frequenza, il mantenimento di rapporti umani, come gli annunci di svendite o saldi nei negozi. E’ molto più facile cavarsela con un messaggio che da un lato appaga il nostro bisogno di approvazione e di presenzialismo nella vita delle persone che diciamo essere care, di quanto faccia un reale confronto di persona ma anche di un normale bisogno di sentire la voce di chi sempre definiamo importanti ( e poi ci si lamenta del distanziamento sociale!!!!). La telefonata e l’ascolto della voce d esempio permette di captare anche lo stato della persona e di calibrare quindi il nostro, il messaggio non si sa mai in quale condizione trova il ricevente e rischia pertanto di arrivare in momenti emotivamente inappropriati.
Si comunica con i messaggi persino nelle stesse case tra conviventi, consaguinei, si litiga in due stanze diverse parlandosi su un telefono o si scrivono i propri pensieri a chi vive con noi, una volta usciti di casa e perdendo o volendo perdere, l’opportunità di dire in faccia certe cose. Quest impoverimento comunicativo sta creando un impoverimento anche mentale, laddove il nostro vocabolario si restringe, si restringono anche i concetti che vogliamo esprimere e il sentire con cui lo facciamo, sgretolando in tal modo il nostro potere relazionale. Il creare relazioni spontanee al di fuori di internet sta diventando un problema, molti adulti cercano contatti via web per mancanza di tempo (sebbene anche quest’impresa ne richieda a sua volta), molti giovani trovano disagevole iniziare approcci relazionali con gli altri dal vivo, hanno dismesso l’abitudine, perdendo di conseguenza la capacità.
L’essere sempre connessi, ansiosi di vedere e ancor di più di rispondere in fretta, sposta la nostra dimensione reale su quella virtuale, con un aumento anche di deconcentrazione costante, creando incertezze e letture trasversali su quello che l’altro intendeva. Come critici letterari che debbono interpretare il significato di un testo antico senza competenze ed una conoscenza spesso ridotta dell’altro e ancor prima di se stessi e del proprio capacità comunicativa, rendono la probabilità di fraintendimento altissima, nonchè quella di aumentare stati di confusione e di incertezza che vanno ad impattare nella salute dei rapporti.
Stiamo più attenti a cosa scrive l’altro che a cosa/come scriviamo noi, a quanto scrive l’altro più che a chi siamo noi, se conosciamo qualcuno dobbiamo prima fare un lavoro investigativo sui social, per capire attraverso il suo profilo, come dobbiamo strategicamente avvicinarci.
Sentiamo il bisogno di definirci con continui aggiornamenti di foto, a caccia di quello più accattivante o di modifiche dello stato con un bisogno incontenibile di far sapere al mondo come stiamo ogni giorno, cosa pensiamo . Creiamo gruppi che nascondono un bisogno di appartenenza anche spiegabile da un punto di vista umano, che finiscono dall’intasarci le chat e darci un senso di soffocamento da cui vorremmo solo scappare. I gruppi dei genitori ad esempio sono uno strumento non tanto di condivisione di notizie o informazioni rilevanti, ma di luoghi in cui tutto diviene tale, creando un ingombro mentale di stimoli stressogeni ed inutili; come lo sono in genere le chat o le community a lungo termine, dove il senso di democrazia viene scambiato per un posto dove esprimere senza freni il proprio malessere creando il fenomeno assai triste degli haters ( un’utenza aggressiva che usa l’anonimato del web per attaccare persone o gruppi di persone). Ciò che accomuna tutto questo è un’urgenza senza controllo di dire, denunciare, senza obiettività e consapevolezza o contenimento: soprattutto di sproloquiare il proprio egocentrismo malsano e invece di indirizzare la sofferenza alla cura, viene gettata nella rete affinche possa investire ed essere pescata da tutti.
Oltre a creare profondi fraintendimenti perciò e relative incertezze emotive, whatsapp toglie quel sano rischio di esporsi, di osare la non approvazione; senza vedere nello sguardo di chi legge la reazione emotiva, fa sentire protetti, sicuri e pertanto meno …reali le nostre parole! Lo usiamo e ne abusiamo ogni giorno, ci fermiamo ancora a chiederci come lo stiamo usando? E soprattutto, siamo ancora in grado di comunicare dav-vero?
https://festivalpsicologia.it/argomenti/dilemmi-comunicazione-whatsapp
Rebecca Montagnino
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