HAPPINESS
“Essere moderni venne a significare così, come significa oggi, essere incapaci di fermarsi e ancor meno di restare fermi” Z.Bauman
Quello che c’era prima era davvero felicità? Quando pensiamo di tornare alla “normalità” forse dovremmo chiederci se quello che vivevamo prima della pandemia era davvero normale. Di fatto l’era post -moderna è stata contraddistinta da un aumento vertiginoso di patologie in tutti i settori: frantumazione di modelli e valori, isolamento sociale, falsa socialità sui social, aumento dei disturbi del sonno e di alimentazione, maggiore assunzione di droghe e farmaci per essere performanti o per anestetizzare il malessere. In qualche modo è stato contraddistinto dalla ricerca di un mezzo che rendesse sopportabile la convivenza con il mondo e il disagio del proprio impatto nel mondo. Maggiore godimento con minore soddisfazione; tanto più il godimento è diventato un must, tanto più ha fatto si che raggiuntolo, è nato il bisogno di cercarne nuovi, in modo ossessivo e liquido, come lo definiva Bauman. La ricerca di nuovi oggetti di soddisfazione materiale, vissuta con fretta e assenza di consapevolezza, ha creato quel vuoto, quel malessere e quel senso di ingordigia che pertanto lascia sempre insoddisfatti. In fondo il consumismo il cui significato è -atteggiamento volto al soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali, alieno da ideali, come dai programmi- si è esteso in tutti i settori, compreso quello relazionale, creando l’illusione di appartenere in tal modo all’era moderna. Come a dire che la piramide dei bisogni di Maslow non aveva previsto un’impennata dei desideri e dell’aspettativa pericolosa di doverli realizzare tutti e subito. La conseguenza, non avendo più limiti o confini, è stata la confusione di ruoli, spazi, livelli, il superfluo ha soppiantato l’essenziale e il desiderio è diventato un sintomo stesso di malessere, perchè eccessivamente spendibile. Basta pensare all’ansia di dover scegliere cosa comprare, quando gli item diventano molti, il bisogno di espellere quando il cibo diventa sin troppo disponibile o ancora quello di isolarsi quando aumenta la possibilità di contatti.
Mi ricorda A. Lowen ” Una società che sacrifica l’ambiente naturale al profitto e al potere e al potere rivela la sua insensibilità per le esigenze umane. La proliferazione delle cose materiali diventa la misura del progresso del vivere..quando la ricchezza occupa una posizione più alta della saggezza , quando la notorietà è più ammirata della dignità e quando il successo è più importante del rispetto del sè, vuol dire che la cultura stessa sopravvaluta l’immagine e deve, essere ritenuta narcisistica. Il narcisismo dell’individuo corrisponde a quello della cultura. Noi modelliamo la cultura a seconda della nostra immagine e a nostra volta siamo modellati dalla cultura “
A volte viviamo così in fretta da confondere ciò che è urgente da ciò che è importante, ciò che ci riempie davvero da ciò che ci condiziona a venir considerato essenziale..come topolini, quelli del video che corrono, corrono verso il soddisfacimento di bisogni che ne ingenerano altri. Topolini che somigliano a criceti su una ruota che rincorrono la propria immagine o quella che vorrebbero rimandare agli altri, piuttosto che la ricerca di sè stessi. Se tutto quello che stiamo vivendo fosse un monito, una seconda possibilità, una riflessione per una svolta da quello che stavamo facendo di disfunzionale, daremo un senso davvero importante a questo momento…un dopo non come un prima, ma meglio . Buona visione!
Rebecca Montagnino
BIBLIOGRAFIA:
ALEXANDER LOWEN, Il narcisismo
ZYGMUNT BAUMAN, Modernità liquidia
DANIELE LUCIANI, La dittatura del godimento
FABIO CIARAMELLI, La distruzione del desiderio
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