NON POSSO quindi VOGLIO: come il divieto ingenera desiderio
“We can be hero just for one day…we could be safer just for one day” David Bowie
Lo stiamo vedendo e vedendo in questi giorni con quanta difficoltà le persone seguono le regole. Non facciamo altro che sentirci ripetere di non uscire e più lo sentiamo più ci pare “ingiusto” non poterlo fare e più vengono trovate scuse per uscire ( o dissonanze cognitive che come abbiamo visto in qualche post precedente, sono dei meccanismi mentali che usiamo quando dobbiamo cambiare un’abitudine maladattiva. Siccome ci dà noia cambiare comportamento, andiamo a cambiare la convinzione che sta alla base, es: dovrei smettere di fumare = in questo momento sono stressato, quindi smetterò in un periodo più tranquillo). Crescono ogni giorno le denunce in modo esponenziale e quando sentiamo le motivazioni di chi esce spesso sono davvero “ingiustificate”.
Ogni nostra piccola azione ha avuto ed ha una ripercussione sugli altri, anche semplicemente perchè fa da modello. Oggi ho visto oggi un uomo scavalcare il parco sigillato per andare a cogliere la cicoria: “che c’è di male, sto solo”, ma il parco è sigillato!!!…si crea così un antecedente e proprio questo diventa virale e sempre più persone si sentono leggittimate a farlo: se lo fa lui, allora lo faccio anche io! Cosa già vista in passato per ogni nuovo divieto introdotto, come per il fumo all’interno dei locali. E anche per chi si adegua alla normativa, pesa un senso di ingiustizia, quasi a sentirsi stupido invece che coscienzioso, perchè fa il proprio dovere. Il proprio dovere semmai andrebbe fatto per una questione di responsabilità verso la comunità in cui si vive e verso sè stessi.
Così c’è chi esce per comprare un biscotto alla volta trovando un alibi ad hoc per uscire ogni giorno, chi trova scuse per la sua coscienza, sapendo che non è una questione di “tanto ci siamo visti poco e stavamo lontani”, NON SI PU0′ USCIRE. E visto che le misure anticontagio non venivano rispettate, sono diventate per tutti un non si “deve”. A pagarne le spese sono stati anche coloro che magari uscivano da soli, nei luoghi consentiti e non facevano niente di contrario alle regole suggerite. A pagarne sono stati soprattutto i medici e gli infermieri che fanno turni estenuanti e non possono fermarsi per le urgenze di ricoveri e di casi in terapia intensiva. Ed oltre alla stanchezza mettono soprattutto la loro incolumità in prima linea.
Inutili i continui richiami sul pericolo oggettivo di contagio per sè e per gli altri. Tanto che il restringere sempre di più le misure preventive diviene un problema, perchè come diceva ieri il premier, bisogna anche assicurare un certo movimento alle persone in quarantena. Tutta questa mancanza di rispetto delle regole ha costretto lo stato ad intervenire con l’esercito con controlli severi come fossimo in guerra, dimostrando ancora una volta che l’essere umano ha problemi a gestire la sua libertà. Nulla di così nuovo. In fondo questa società troppo abituata da troppo tempo a fare come vuole e non rispettare il prossimo, forse a non considerarlo proprio, si è palesata in tutto il suo individualismo. Con gravi conseguenze, tra cui il rischio di scatenare sentimenti rabbiosi per chi esce nonostante il divieto, che sono l’antitesi di un sentimento di solidarietà che invece dovrebbe esserci in momenti come questo. La vita nostra è un bene comune, come la vita degli altri lo è, forse bisognerebbe riappropriarsi di questo concetto e di come dipendiamo da una connessione più profonda, primordiale più che digitale.
L’individualismo non sta solo in chi esce ma anche in chi non considera che se svuota un supermercato, forse a quelli che vengono dopo mancheranno dei beni necessari quanto a lui, che se resta connesso con la rete anche quando non è necessario ne provoca l’indebolimento per chi ne ha necessità lavorative o di studio. Ci sono tanti modi per essere solidali in questi giorni, che richiedono uno sforzo personale, minimo in fondo, ma che sono più funzionali che cantare sui balconi. Essere solidale si potrebbe scoprire così quanto aumenti il benessere psicofisico come dimostrato da centinaia di ricerche e quanto distolga dal fissarsi ossessivamente sulle notizie e sulle notifiche in rete.
MA PERCHE’ IL NOSTRO CERVELLO AMA TANTO ROMPERE LE REGOLE? Ad iniziare per primi nella storia dell’umanità, sono stati Adamo ed Eva. Quando fu loro detto che non potevano mangiare proprio la mela nel giardino dell’Eden quella vollero e quella mangiarono…Il divieto ingenera attenzione e desiderio…
A differenza del periodo della guerra per cui scappare dai divieti creava un senso di unione per le persone, addirittura di rivoluzione, oggi con la quarantena la richiesta per solidarietà è proprio quella di astenersi dal contatto sociale. Non solo in quel periodo oltre a problemi si scorte e di contatto sociale (pensiamo al muro di Berlino) le persone erano private della loro libertà di opinione (cosa che forse abbonda anche oggi) e del possibile pericolo di vita di cui non avevano nessun controllo.
Prendiamo la generazione più giovane, quella della me generation in particolare, per cui i divieti non sono mai esistiti, quando anche le regole, come il sacrificio e la rinuncia alle cose per un bene collettivo. Per alcuni di loro che tra l’altro sono più lontani dal pericolo del contagio, il pericolo o non esiste o se esiste non li riguarda. In fondo se sono stati sempre abituati così, perchè ora dovrebbe essere diverso? Abituati a vivere la socialità in solitudine (abbiamo visto in passato come l’essere sociale si identificava con l’essere sociale, non riguardava perciò lo stare con gli altri in senso fisico. Tra l’andare al cinema e vedere un film in streaming preferivano la seconda …tra il parlare ad una cena di gruppo preferivano stare individualmente sui loro smartphone), hanno ora più difficoltà a seguire le normative. E i genitori trovano chiaramente impossibile introdurre tutt’ insieme un sistema di regole, quando fino a prima dell epidemia hanno faticato ad imporlo.
La foto della carta igienica scomparsa dagli scaffali con la prescrizione di un pacco a persona, è stato uno degli elementi presenti in tutti i paesi appena entrati in quarantena. Può sembrare banale come esempio, ma lo trovo chiarificatore proprio perchè lo conosciamo tutti. Il covid-19 benchè possa dare “anche” sintomatologie all’intestino, sappiamo essere una sindrome che colpisce essenzialmente le vie respiratorie. Quindi escluso si tratti di questo. Una seconda spiegazione riguarda la paura della scarsità dell’oggetto sul mercato, ma anche questo non spiega totalmente il fatto. La spiegazione è che l’acquisto ansiogeno/compulsivo iniziale, ha creato una sorta di panico collettivo sulla sua ipotetica scomparsa e ne ha creato un bisogno. Di conseguenza, senza esercitare un esame critico il comportamento è stato emulato da tutti. In poco tempo è diventato così un bene di super primaria necessità. Il cervello non ha registrato il perchè di tali azioni, quanto il desiderio di averlo come tutti. La pubblicità non è una novità, si fonda su questa debolezza umana. Lo abbiamo visto di recente con le merendine alla nutella e vale lo stesso per le sigarette, per una persona che non ci desidera, per il cibo; qualcosa che non possiamo possedere, si trasforma in un lo voglio e in seguito ad un lo devo averlo. Dall’era dei tempi l’uomo desidera di più qualcosa che percepisce come lontano o irraggiungibile. Si chiama effetto paradosso in psicologia. Il paradosso in greco indica una “contro opinione” , una conclusione contraddittoria di un ragionamento corretto su basi sensate. Lo vediamo con i bambini, vietare loro qualcosa usando il buon senso, diviene spesso un modo perchè facciano esattamente quello richiestoli di non fare, anche quando non ci avevano minimamente pensato. Creano cioè l’opposizione, un desiderio difronte ad un divieto, di disobbedienza che viene chiamata anche reattanza. Un altro esempio lo vediamo con il fallimento delle diete, ciò che vien impedito di mangiare diviene all’improvviso un dictat per il cervello e poi per la fame.
Cosa fare quindi? Consapevolizzare, consapevolizzare, consapevolizzare, rendere cioè la persona parte del problema, metterla in situazioni di empatia con l’altro, farle capire cosa proverebbe se venisse veramente danneggiata dal comportamento indisiciplinato altrui in prima persona. Attivarne l’attenzione affinchè più che un divieto sia un lo faccio per il mio bene e per gli altri, perchè perseguo il mio star bene e quello di chi mi circonda. Perchè mi proteggo e proteggo chi mi sta a cuore. Perchè mi assumo la responsabilità delle mie azioni. Ricordiamo che la capacità di adattamento, diversa da quella dell’adeguamento in cui cambia il comportamento ma non le convinzioni alla base, sono un comportamento finalizzato alla sopravvivenza dell’essere umano da sempre e pertanto presente in ognuno di noi.
Spargete la voce che quello che non si può fare oggi, sarà rinviato a domani e sarà ancora più bello, perchè ancora più consapevole e che prima restiamo tutti a casa, prima quel momento arriva…
Rebecca Montagnino
Esemio della carta igenica
i giovani e il narcisismo non regole prima
consapevolezza
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