LA SOLITUDINE
Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non sapersene stare tranquilli in una camera. (Pascal)
“Amata solitudine, isola benedetta” cantava Battiato… In francese solitude rievoca spazi interiori di riflessione, in inglese il termine on my own company si riferisce alla capacità di muoversi e godere da soli della propria compagnia, da noi è quasi una parolaccia, un’offesa: la connotazione negativa in risposta al sinonimo di sfigato o meglio tagliato fuori. Ma tagliato fuori da cosa? Dalla vita affettiva quanto da quella sociale, implicando l’impossibilità che possa essere anche una scelta volontaria in tanti periodi della vita. Eppure ricordiamo che la capacità di stare soli è indice di equilibrio mentale. Perchè viene visto dunque in modo così orrendo? In primis perchè è il contrario di coppia, che è sinonimo di famiglia. Ma di un unico tipo di famiglia, quello nostrano. Lo stesso da secoli, quando fuori il modo di vivere la famiglia da meno di un secolo è cambiato. Non è più basato solo sulla consanguineità, ma anche sull’affinità. La solitudine allora, in quest’accezione tardo cattolica o meglio preistorica, diviene un mostro. Sociale innanzitutto perchè ci si sente giudicati, additati. Individuale, perchè una persona non bastando a sè stessa, ha bisogno di essere in due per sentirsi un pò Uno. Mi spiego, mancando un’identità salda ci si appoggia molto all’altro, patendo di una propria sicurezza ci si nasconde dietro l’insicurezza dell’altro. Di status ancora, perchè lo stare in coppia lo si annuncia con lo stesso slancio della vittoria di un Nobel o lo si vive come la certificazione di non aver contratto nessuna malattia ( per chi non avesse ancora visto il film The Lobster, direi di vederlo che spiega molto). “La solitudine viene demonizzata, vedere uno sfortunato in chi è solo è un modo per proiettare all’esterno le nostre paure. Siamo ossessionati dalla comunicazione, organizziamo corsi per imparare a stare con gli altri. Ma nessuno ci insegna a stare con noi stessi” V.Castellazzi
La paura della solitudine.
Molto spesso le persone si vergognano di essere sole/fare le cose da sole, come se il principale problema fosse l’opinione del mondo intorno. Questo è dovuto anche ad un forte condizionamento culturale e sociale; nel resto d’Europa saper star da soli viene considerato infatti come un segno di integrità. Si emargina perciò, forse chi da solo ha già dentro una completezza inspiegabile, da chi invece ha un vuoto da riempire e proietta appunto il suo limite sugli altri.
La paura della solitudine è un mostro terribile e terrificante che spinge a cercare nell’altro la soddisfazione dei propri bisogni e un’ ancora di salvataggio dai momenti di noia e vuoto esistenziale. La solitudine diventa allora una patologia, che si annida dentro derubando l’anima della propria dignità e non ha niente a che fare con il piacere dell’altro come valore aggiunto ad una dimensione di ricchezza interiore. La minaccia della solitudine come fosse qualcosa da temere più che uno stato normale da raggiungere, allontana così l’arricchimento interiore che non ha nulla a che vedere con l’individualismo. “Anche la solitudine è fondamentale per il nostro equilibrio: abbiamo bisogno degli altri come dell’ossigeno ma non possiamo sempre inspirare..” (Chiaia O). Winnicott evidenziava nella sua teoria relativa all’esperienza transazionale, quanto fosse importante la possibilità per il bambino di giocare da solo, sapendo che la madre era poco lontana e poteva essere chiamata in ogni momento. La separazione dalla madre, come dalle figure genitoriali durante l’adolescenza, è un momento decisivo nello sviluppo per potersi aprire ad esperienze esterne. La solitudine infatti è anche quel mondo interiore costruito sin dalla prima infanzia dove si dialoga e si vuol be e a se stessi, si è amici della propria identità, si apprezza la capacità di coltivare la propria anima. Ai bambini oggi è vietato annoiarsi, non sviluppano modi di distrarsi e contenersi da soli, o ancora di inventare, usare la fantasia. Tutto viene loro programmato e organizzato dalla famiglia, dai giochi alle feste, al tempo libero. Crescono dipendenti dagli altri e non sanno cosa amano fare, non c’è quindi da stupirsi se poi da adulti non sanno bastare e provvedere alle loro funzioni e non sanno “contenersi”. Chi ha introiettato le figure genitoriali come immagini positive nelle prime fasi della vita è in grado di ritrovarle dentro di sè e nel tempo è in grado di costruire rapporti non per paura di stare solo, quanto per il piacere di stare in compagnia. La capacità di stare soli permette di non tiranneggiare l’altro o di non esserne dipendente. Chi ne ha paura chiede un rapporto simbiotico che alla fine soffoca o fa scegliere gli altri al proprio posto pur di averne l’approvazione e quindi la vicinanza. “Si sente costretto ad anticipare i desideri altrui per essere indispensabile, con l’atteggiamento masochista / compiacente /bravo bambino per non rischiare di ritrovarsi da solo” (Lo Jacono).
Ricordiamoci inoltre che identificarsi significa essere individui, non sempre collegabili o collegati a qualcuno, spiega sempre lo psicoterapeuta. Tale paura deriva più dalla difficoltà a trovare la propria identità o autenticità in un mondo in cui siamo bombardati da troppi stimoli o richieste. La solitudine in tale senso può essere un’Isola in cui ascoltarci, proteggere il mondo interiore, come facevano un tempo i flaneur o viaggiatori. L’immagine dell’eroe e del mistico è stata in fondo da sempre legata ad un’immagine solitaria, forse per questo la troviamo accettabile solo quando viene attribuita ad un’artista. Il “viaggio dell’eroe” è una metafora di un percorso nella solitudine verso la crescita e la conoscenza dell’Io, per poi saper stare meglio con gli altri. Questo infatti vale nelle relazioni affettive quanto in quelle amicali” La solitudine è un momento fondamentale per dare senso all’esistenza, alcune cose importanti si possono fare solo da soli. Il problema è che soffriamo di bulimia di comunicazione. Nella vita di relazione, ma anche nell’ambiente di lavoro viviamo in una società ipocrita che crea dipendenze e falsi sè. Facciamo fatica a gestire il tempo vuoto creato dalla solitudine e non riusciamo a coglierne il valore. “
La solitudine patologica
La noia è spesso il principale sinonimo di solitudine. In realtà la solitudine può anche non esserlo e la noia può essere abbondantemente presente anche in mezzo ad una folla di gente e purtroppo persino in due…Ma dalla noia si può uscire facendo leva sulla fantasia e cercando i mezzi prima immaginativi e poi concreti per utilizzare il tempo con piacere, con passione magari. Seguendo ritmi personali e interiori, non lo si cerca forse in vacanza? Sempre Lo Jacono afferma: “Viviamo il Kronos, il tempo delle scadenze, degli appuntamenti, ignorando il Kairos, il tempo delle opportunità”. Virginia Woolf in Una stanza tutta per se, declamava il bisogno di uno spazio personale che oggi sarebbe invece inondato di rumore e tecnologia. Tale fracasso ha apparentemente riempito il vuoto relazionale con l’inganno della connessione costante e con tutti e ovunque, per cui ci si sente meno soli. Ovviamente è un falso mito, molto capace in compenso di coprire i problemi reali. Le relazioni “vere” poi sono spesso frustanti e superficiali, apparenti, troppo basate su valori che sono l’opposto di quelli che dovrebbero legare le persone, come l’opportunismo, i contatti sociali utili vuoi per lavoro o per uscire, il bisogno di presenzialismo, il narcisismo ovviamente. Anzi spesso in quest ultimo caso le persone stanno bene da sole semplicemente perchè non provano interesse per l’altro e sono troppo prese da se stesse; non hanno voglia di confronto, perchè non amano la critica, non hanno abilità dialogiche basate sullo scambio e finiscono con l’abituarsi a questo stato celandolo dietro ad una scelta spontanea. Anche l’invidia è nemica della solitudine sana perchè rende impossibili i rapporti dove non solo non vi è equiparazione in quasi tutto, ma dove la condivisione della felicità altrui tradisce una sofferenza individuale. Infine c’è la solitudine di chi, per paura di soffrire, si chiude al mondo esterno considerando di non poter essere compreso da nessuno.
Solitudine vs coppia
Ora il motivo principale per stare in coppia non rientra in nessuno dei fattori sopracitati. Un tempo era l’amore a creare legami (compresi ormoni, vista, tatto, sentimento, affinità); fa insospettire come ci si possa innamorare girando su Meetic o siti simili. Un tempo l’amore era motivo di grandi gesta, consapevoli che lo si incontrava raramente nella vita. Considerata l’interscambiabilità con cui oggi tale sentimento si sfascia e si ricompone altrove, facendo esattamente le stesse cose con un altro partner e un altro ancora come se nessuno desse delle peculiarità ai rapporti, viene da chiedersi come possa essere così facilmente sostituibile. Spesso sembra che si rincorra più “l’avere una relazione”, non una Persona in particolare, nè tantomeno l’Amore. Le persone, i sentimenti, le esperienze sono intercambiabili come vestiti nei camerini di H&M, forse per questo l’uno vale l’altro e non si seguono i tempi di elaborazione di una fine. Alla fine tutto si somma e si confonde, non resta niente. La scelta è merceologica/consumistica, i tratti che piacciono vengono cercati e “spuntati” senza passione o sorpresa. Non importa Chi sia, basta che possa essere incastrato in quella relazione. E se poi non funziona, si butta e si cerca velocemente un prodotto sostitutivo per essere consumato.
L’amore è riconoscimento dell’altro e di sè stessi, non per le comuni problematiche o patologie come spesso avviene, ma per qualcosa che ha a che fare con un livello più profondo. Ci si riconosce nell’anima, prima ancora che nell’aspetto fisico o nell’appetito sessuale. L’altro sembra portatore di qualcosa di noi come noi siamo portatori di qualcosa dell’altro. E’ basato sui valori condivisi, sul modo di sentire e vedere la vita, sulla fiducia e sul rispetto. Sulla stima, sull’ammirazione per quei tratti unici e introvabili altrove. Purtroppo l’irrisolutezza interiore rende la scelta molto più imbrogliata: anche i problemi irrisolti rispetto alla propria famiglia d’origine restano in agguato, pronti a saltare nella relazione appena possono. L’essere amati o l’avere amici non ha niente a che fare con il numero dei messaggi mandati o con il bisogno asfissiante di restare sempre connessi, quella è solo una necessità di essere rassicurati nel sapere che si ha sempre il proprio posto privilegiato (come lo specchio delle Regina di Biancaneve)-
In un momento storico come questo di così grande fragilità interiore, è diventato necessario rendersi autonomi e forti come Identità, per saper scegliere e capire cosa cercare nell’altro. Avere l’informazione che tanto poi esiste il divorzio non significa che si debba partire con l’idea di finire tra quelle liste infinite di coppie che ogni giorno affollano il Tribunale Civile. Ogni separazione è un lutto, una profonda destabilizzazione non solo pratica, ma nell’anima, dove a fare le spese non sono sono gli individui in causa, ma i loro figli e coloro che sono stati coinvolti nella scelta iniziale. Il problema relazionale è quello per cui la maggior parte delle persone si rivolge alla terapia, ma il più delle volte nasconde un problema personale sottostante. Il legame affettivo è davvero un’esperienza profonda che cambia e ci cambia. Cambia nel tempo e bisogna saperlo prima per non crollare e arrendersi poi. Per questo motivo la scelta dovrebbe essere fatta con criterio e responsabilità (che non nulla ha a che fare con bisogni personali insoddisfatti o problemi irrisolti o peggio ancora con opportunismo di migliorare il proprio tenore di vita). I fatti di cronaca ci riportano a riflettere ogni giorno su quanto la fragilità psichica delle persone sia un fattore di distruttività dei legami e come la dipendenza di personalità deboli le sottoponga a situazioni di pericolo da cui non riescono a fuggire. Quando incontro nel mio lavoro fenomeni di dipendenza cerco sempre di rafforzare per primo l’identità dell’individuo, perchè solo se riesce a vivere momenti di solitudine appaganti , ha poi la lucidità e l’equilibrio di scegliere o anche di sostare in tutte le difficoltà che una vita a due comporta.
Dott.ssa Rebecca Montagnino
BIBLIOGRAFIA:
-V.Woolf, Una stanza tutta per sè
-Mente e cervello, n.66 giugno 2010
-Lo Jacono A. La solitudine
-Chiaia O. Uscire dalla solitudine
-Manara F. Un angolo tutto per me, le belle sorprese della solitudine
-Castellazzi V.L Dentro la solitudine
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