Vi avverto: questo articolo non sarà come “dovrebbe” essere…Perché nel DuemilaEqualcosa il Narcisismo è la diagnosi perfetta sempre, l’insulto perfetto sempre, la spiegazione perfetta per tutte le disgrazie (di noi altri che ovviamente non siamo affatto affetti dal peccato originale del Narcisismo). Ci medichiamo ferite da abbandono lenendole con l’idea che la colpa sia di quell’altro, del Vampiro Narcisista (Sospiro di sollievo!)
Premessa: non parlerò dei gravi Narcisisti, di quelli che sconfinano con la Sociopatia, i Serial Killer anaffettivi e gli abusanti pericolosi socialmente.
Questa è probabilmente l’epoca più edonistica che l’umanità abbia mai conosciuto: ci chiediamo e ci viene chiesto di sembrare performanti sempre, i migliori, quelli verso cui provare invidia o ammirazione, leader sempre e comunque.
L’imperativo globale è avere successo, essere in forma, vivere in uno stato emotivo prossimo all’ipomaniacalità dispensando comunque pillole di saggezza sui nostri profili social.
Dobbiamo essere tonici ma rilassati, energetici ma zen, autoironici ed intellettuali ma anche di tendenza, sociali ma anche in equilibrio con noi stessi, pronti ad impegnarci a due ma anche seduttivi e seducenti nei confronti degli altri.
Non si parla nemmeno più di maschere da indossare, con buona pace di Pirandello, ma di identità così fluide che per riconoscersi, per dirsi “esisto!”, per sentirsi nel corpo e nell’anima hanno bisogno costantemente di essere vive negli occhi degli altri.
Sono così evanescenti che per dirsi “Vado bene!” hanno un bisogno pari a quello dell’ossigeno di trovare nel mondo specchi e pubblici plaudenti che le riflettano il diritto ad esistere e ad essere amabile.
Voglio raccontarvi una cosa: all’inizio della mia carriera diversi anni fa, come tutti i giovani professionisti imberbi, ho avuto i miei fallimenti professionali tosti. Quelli più dolorosi, quelli che hanno lasciato le loro brave cicatrici, quelli che ancora ogni tanto ci ripenso con rammarico, sono stati tutti con persone con tratti narcisistici marcati.
Quello che ho imparato da questi miei errori sui Narcisisti e su tutti noi umani a variabile grado di Narcisismo non è però quello che probabilmente molti di voi si aspettano di leggere. Perché sul narcisismo vengono scritte decine di articoli divulgativi ma alle persone si insegna, purtroppo, spesso, solo a guardare il dito (i comportamenti volti solo a sedurre e conquistare, la bassa empatia per l’altro, la facciata esteriore di successo, la tendenza nei casi più gravi ad essere abusanti) perdendo di vista la luna.
In bilico tra Icaro e Narciso
Del Narcisismo ci si scorda la cosa più grave: la prima vittima del Narcisista è lui stesso.
Il Narcisista è intimamente solo e non lo sente.
La vita emotiva del Narcisista è un deserto arido e lui non lo avverte.
Il senso di amabilità profondo del Narcisista è intimamente fuso con la capacità di fare: se sei bravo e di successo allora sei amabile. La vita diventa quindi una continua corsa ad ostacoli nell’inseguire mete sempre più iraggiungibili 24/7 e lui non capisce di essere contemporaneamente un criceto dentro una ruota che gira impazzita e la mano che tiene la gabbia chiusa. Tecnicamente questa cosa si chiama “deficit di accesso agli scopi”: un narcisista fa e fa sempre e fa ad alto livello, si alza continuamente da solo l’asticella da saltare. Ma se chiedete alla persona: tu cosa vuoi? Ti piace quello che fai? La risposta è un silenzio assordante, un farfugliamento imbarazzato.
Non è infrequente incontrare nella storia di vita del futuro Narcisista genitori freddi sul piano emotivo; genitori svalutanti o che, dall’altra parte, ipervalutavano il figlio descrivendolo come più “speciale” degli altri; genitori dediti eccessivamente al dovere ma scarsamente empatici, o magari a loro volta estremamente attenti al successo ed alla carriera. L’affetto spesso era secondario al dovere, l’apparire prioritario all’essere.
Il Narcisista e i suoi partner non si incontrano mai davvero, non si vedono mai davvero: reciprocamente si usano per soddisfare un bisogno.
Il Narcisista vuole un pubblico, l’altro glielo fornisce.
L’altro ha bisogno di qualcuno da ammirare, il Narcisista lo fa.
Il Narcisista spesso soffre della “Sindrome di Pigmalione”: l’altro si adegua a farsi cambiare per sentirsi in relazione.
Il partner del Narcisista ama essere amato da qualcuno di “Superiore” perché si sente speciale a propria volta. Il Narcisista è la persona giusta per lui.
Se sono due partner Narcisisti possono godere della reciproca idealizzazione, vivere una storia “perfetta”, quasi un copione per un film di Hollywood: tutto a velocità supersonica, senza riposo, senza fermarsi mai, mai concedendosi e concedendo all’altro il privilegio dell’intimità, della tuta e ciabatta saltuaria.
Il Narcisista chiede aiuto comportandosi in modo freddo, arrogante, distante, ritirandosi dall’esterno per chiudersi in un bozzolo impenetrabile. Non ha degli schemi mentali nella sua testa che possano invece guidarlo nell’avvicinarsi all’altro (sei triste? Avvicinati. Hai paura? Chiedi conforto) perchè non ha mai sperimentato nella propria esistenza una “sana dipendenza” in termini di attaccamento. Quando il Narcisista crede di chiedere aiuto il partner non riesce a percepirne la fragilità ma vede invece solo i comportamenti manifesti: si allontana a propria volta ancora di più, si arrabbia, inizia a maltrattare, cerca a propria volta vicinanza emotiva per essere rassicurato. Finisce così che il Narcisista pensa “Ecco, vedi che quando sto male gli altri se ne fregano di me! E’ proprio come dicevo io” e la profezia di base si avvera: gli altri nella sua mente non sono in grado di fornire cure e attenzioni richieste.
Per Di Maggio e Semerari è inoltre “tipico che l’immagine di sé debole, sofferente sia giudicata negativamente dal paziente stesso. L’aspettativa implicita è che chi è debole è sottomesso, chi chiede aiuto diventa schiavo“.
Il Narcisista e l’Evitante sono per molti versi due facce della stessa medaglia, due comportamenti opposti dietro lo stesso problema: l’impossibilità a stare con i propri aspetti di Sé veri, con i difetti, con le imperfezioni. Da una parte faccio, cerco conferme, divento leader. Dall’altra mi eclisso, mi nascondo, sogno di essere leader.
In molti casi uno Sconfitto rivendicativo e rabbioso per i propri insuccessi, costantemente nell’ombra perché non riesce ad emergere, che passa la vita a creare meravigliosi sogni ad occhi aperti dove è il protagonista indiscusso delle situazioni altro non è che un Narcisista ritirato nella propria Torre d’Avorio.
La terapia con il Narcisista
E’ fin troppo facile finire per farsi incantare e stregare dalla loro grandiosità e bravura finendo per ammirarli ed invidiarli noi stessi. E’ fin troppo facile entrare in dinamiche di rabbia ed agonismo per il ruolo di paziente che faticano a tenere senza essere loro a condurre il gioco. E’ fin troppo facile finire per prendere insieme il tè delle cinque ammirandoci vicendevolmente. E’ difficilissimo anche per noi sentirne il dolore di vivere, il bisogno di aiuto profondo, la fragilità sotto strati nascosti anche al loro stesso animo.
Ma lì è il cuore della terapia: insegnargli a suonare le corde dell’umano dispiacere per la propria finitezza e fallibilità senza vergogna e senza evitamento. Aiutarlo a provare amorevolezza verso la propria imperfezione. Aiutarlo a sentirsi per guidarsi. Aiutarlo ad aiutarsi a scegliere i sogni da seguire e i sogni da tenere nel cassetto.
La malattia cronica di cui soffre il Narcisista è la malattia della Grande Vita (cit. Semerari): l’aspirazione incessante all’infinito ed oltre, la convinzione tossica di essere l’unico che potrà toccare il Sole con le ali di cera senza farsi male finendo invece, ciecamente, per esserne bruciato.
Da Icaro in poi anche noi, noi che non siamo cronicamente Narcisi, difficilmente non possiamo non avere mai avvertito quel fremito, quel bisogno, quel desiderio.